27/05/2017 17:50
Dicono che l’acqua torni sempre al mare, come chi va via da questa nevrotica città ma tanto, si sa, poi ritorna prima dell’ultimo ghigno di sfida alla vita.
E’ un filo invisibile agli occhi, l’epilogo di una storia tanto avvincente quanto scontata nel suo finale.
Ricordo nitidamente la prima volta che vidi le acque di quel giovane fiume: la Luna splendeva alta nelle oscurità del cielo illuminando la bronzea Madonnina. Faceva freddo, quel freddo da cui un padre premuroso ti protegge imbacuccandoti tra un maglione extra-large e una giacca che “un giorno vedrai ti calzerà a pennello”.
Incurante di tutto, ai piedi di un Obelisco che ancora oggi mi appare gigantesco, decisi di apporre un ulteriore strato a protezione del cuore come per difenderlo dalla freccia di Cupido; una sciarpa dalle tonalità del Sole e dell’amore che al tempo non riuscivo neanche a tenere con due mani.
Quanto sembra misteriosamente grande il mondo quando si è bambini.
Ora la osservo con lo sguardo laconico, posso chiuderla nel palmo della mano accorgendomi di quanto sia ingeneroso questo compagno di cammino.
Questo tempo così rapido quando non deve e tanto lento quando non vorrei.
E grande mi sembrava quello stadio in cui mai avevo messo piede, immensa la folla che disordinatamente si avvicinava per riempirlo, insormontabili quei gradoni: porte d’accesso ad un luogo ameno nella bellezza della sua eterogeneità.
Le luci artificiali si mischiavano ad una Luna spostatasi un po’ di in là per guardarsi ingiù, specchiandosi come la più vanitosa delle donne nelle torbide acque del grande fiume in attesa di altri giovani corsi impetuosi. Vedevo quella marea umana danzare un ballo eretico, spesso incompreso; e ventidue giganti rincorrevano una sfera delle sembianze della mia fanciullesca testa. C’ero riuscito. Mai regalo di compleanno fu è e sarà così prezioso.
Osservavo affascinato quella gente senza preoccuparmi troppo del campo. Poi, d’improvviso, un lancio lungo di un uomo senza capelli – mi chiedevo dove fossero finiti, visto che io ne ero pieno – la sponda aerea dell’attaccante e una botta al volo di sinistro sotto al sette. Il giovane biondo fiume impetuoso esultava avvicinandosi a quel mare giallorosso.
Dicono che l’acqua torni sempre al mare, quel giorno lo capii senza capire. Senza volerlo.
Fu spontaneo come un bacio rubato e una carezza alla compagna che dorme.
Fu gioia, esplosione e batticuore: il biondo fiume che andava a salutare il mare dicendogli dolcemente: “Ci rivedremo ogni tanto, tu aspettami qui”.
Poi son diventato una parte del mare e ho visto tante di quelle volte quelle acque schiantarsi in un abbraccio contro i nostri scogli, per poi ritornare indietro lasciando un pezzo di sé.
Perdeva un pizzico di capienza e mentre rientrava mi rendevo conto che tutte quelle gioie nascondevano dentro loro una verità celata, triste. Quel fiume perdeva pezzi regalandomi refrigerio e al tempo stesso iniziava a far crescere dentro di me il desiderio di rivivere quel primo incontro, quando entrambi eravamo giovani e puri.
Ma il tempo sfreccia senza pietà quando non deve ed è drammaticamente lento quando vuole.
E così senza neanche accorgersene eravamo invecchiati: il biondo fiume era ormai ridotto ad un rigagnolo, tante le volte in cui aveva lasciato qualcosa venendomi a trovare, tante le occasioni in cui le sue lacrime mischiate alle nostre avevano irrorato il manto verde.
Abbiamo riso e pianto insieme, litigato senza rivolgerci un sorriso, festeggiato e ci siam disperati: perché se l’acqua torna sempre al mare vuol dire che entrambe son destinate un giorno a far schiumare le onde contro gli scogli.
Ma il tempo va veloce quando vuole e quel fiume non tornerà più ad incontrare il mare,
perché ormai le sue vecchie e stanche acque fanno parte di esso.
Per sempre.