14/07/2019 22:45
LAROMA24.IT (Mirko Bussi) - "Quello che conta davvero è l'intensità, la squadra deve esser intensa in ogni momento di gioco". Così parlò Paulo Fonseca immaginando la Roma che verrà. E quindi, dalle prime immagini sbirciate a Trigoria, il grido unanime porta alla scoperta dell’intensità.
Per contegno eviteremo di parlare di “metodo Fonseca”, o qualsiasi cosa del genere, nel rispetto della pazienza dei più, usurpata da personaggi-sciamani che negli ultimi anni sono sbarcati sul pianeta Roma e rapidamente ne sono ripartiti su una navicella lasciando, al massimo, una buona opinione postuma. Tuttavia è inevitabile che ogni professionista porti con sé, in una nuova avventura, il proprio modo di stare al mondo. Chi s’aspettava giocatori costretti a correre su via Laurentina, non avendo boschi a disposizione e posti simili intorno a Trigoria non sono granché raccomandabili, dosi massicce di ripetute o interminabili test è rimasto deluso. Per quel poco che è stato rivelato dalla serratura del "Fulvio Bernardini", Paulo Fonseca ha mostrato il passaporto portoghese esibendo la dottrina, di stampo lusitano, che ha rivoluzionato l’arte dell’allenamento calcistico nel nuovo millennio. E’ la periodizzazione tattica, ideata dal professor Vitor Frade e finita nel lessico calcistico “comune” grazie a José Mourinho, il massimo esponente della generazione di allenatori “made in Portugal”.
COS’E’ LA PERIODIZZAZIONE TATTICA? - Sostanzialmente, la periodizzazione tattica mette al centro dell’allenamento il proprio stile di gioco. Gioca come vuoi e ti allenerai per ciò che ti serve, in estrema sintesi. Ecco perché sono proliferate le “partite a tema”, in letteratura dette “small sided games”, i possessi e i giochi di posizione che riescono a far coincidere l’allenamento tecnico, tattico e fisico. E’ questa la prima rivoluzione del modello: il calciatore non era più visto come una somma algebrica delle diverse componenti ma nella sua complessità olistica.
Basti pensare a quel possesso in transizione, col quale Fonseca ha strappato i primi cenni di popolarità romanista. L’avrete letto o nominato come torello e poco cambia, nella definizione, tutto invece nel concetto. Quello che da queste parti è stato per decenni un giochino da svolgere per ingannare il tempo o sbeffeggiare il malcapitato di turno, altrove, rivedendo numeri, regole e spazi di gioco, è diventata un’esercitazione allenante. Cosa prevede quell’esercitazione? E’ un 5 contro 5 scomposto, nel quale 2 giocatori vanno a caccia del pallone nel riquadro avversario e appena lo conquistano s’invertono i compiti. C’è l’aspetto tecnico, stressato da tempi ultra-accelerati e spazi al minimo consentito, l’aspetto tattico, inteso nella sua definizione più genuina come “presa di decisione”, s’irradia il concetto della transizione, dove con palla persa l’indicazione evidente è quella di riconquistarla immediatamente. E la voce di Fonseca? Tutt’altro che coreografica, o meglio non solo: è la regola del lavoro col pallone ad imporre l’utilizzo del continuo sostegno verbale per far sì che l’intensità dell’esercitazione sia sempre vertiginosa e così facendo si soddisfi anche la parte fisica sottintesa nella proposta. Che sia allenante anche da un punto di vista “organico”, sia chiaro, l’hanno stabilito e confermato vari studi scientifici che non stiamo qui a ricordare per evitare di fornire ulteriori motivi per interrompere la lettura.
LA RICERCA DELL’INTENSITA’ – Eccola, la parola magica dei primi giorni: l’intensità. Si vede, si legge, si sente ovunque. E' l'intensità ma pare la felicità. Il lavoro sfiancante e ripetitivo che contraddistingueva i ritiri dove in un mese di montagna ci si augurava di metter benzina sufficiente per i successivi nove (!), ha ormai ceduto il passo a sedute di inizio stagione che non differiscono particolarmente da quelle svolte in altri periodi dell’anno. Perché non c'è nessuna mitologica condizione fisica da raggiungere, come espresso in più occasioni da Guardiola.
Traduzione: "Non credo nella condizione fisica, non ci credo. La condizione fisica, per come è intesa, non esiste dal mio punto di vista. La mente controlla tutto, quello che devi fare in campo, quando hai la palla, quando non ce l'hai, come difendi sui calci piazzati, e molte altre situazioni che non riguardano l'aspetto fisico. (I giocatori) si allenano ogni giorno, ci prendiamo cura di loro, è impossibile con le strutture che abbiamo, è tutto a loro disposizione, non credo assolutamente in questo (problema fisico, ndr). Il primo tempo è stato lento, il secondo più veloce, eravamo aggressivi, poteva essere il contrario...la questione è solo di approccio mentale".
Cos’è l’intensità? Stando alla pura definizione, l’intensità è la “grandezza” dello stimolo allenante, che moltiplicato per la durata della seduta fornisce un numero che indicizza il carico di allenamento. Per come viene intesa, però, per intensità è la capacità di tenere ritmi elevati da parte di una squadra. In una sigla: RSA. Che sta per "Repeated Sprint Ability", vale a dire la capacità di effettuare sforzi ripetuti con tempi di recupero relativamente brevi. Oggi, allora, non si può sgranare gli occhi davanti ad esercizi di rapidità e reazione nei primi giorni di ritiro. Come quelli predisposti dallo staff di Fonseca in varie sedute settimanali: rapidi appoggi dentro e fuori la speed ladder (in gergo la scaletta, sfruttata sabato mattina) utili a stimolare una frequenza di passo, combinati ad un fondamentale tecnico, oppure ad una frenata con nuova accelerazione legata ad uno stimolo esterno (il fischio del preparatore, utilizzato invece venerdì). Riavvolgiamo: frequenza di appoggi, trasmissione o conduzione della palla, frenata, ripartenza in base a ciò che succede intorno. E’ quello che avviene, praticamente, in ogni azione di un calciatore.
E dov’è l’intensità nel “torello”, propriamente un “rondos” come vengono chiamati quel tipo di esercitazioni di derivazione spagnola, che ha mosso le viscere social dei tifosi? Oltre che nello sforzo fisico di dover ripetere continuamente frenate, accelerazioni e cambi di direzione, l’intensità dominante è quella mentale: dover trasformarsi continuamente da “possessore”, e dunque predisporsi a giocare, a “cacciatore”, quindi aggredire chi ha il pallone per riconquistarlo il prima possibile. L’intensità determinante, infatti, è proprio quella di pensiero: sia esaustivo il ricordo del Napoli firmato Maurizio Sarri, il più fedele ritratto contemporaneo in Serie A di squadra intensa. Dove col tempo le diverse fasi, offensiva e difensiva, si erano fuse l’una nell’altra offrendo un flusso continuo che dal possesso portava i giocatori azzurri a saltare addosso all’avversario per l’immediata riconquista.
Avvertenza: l’intensità è un mezzo, non di certo il fine. Fino a diversa comunicazione da chi determina le regole, a contare è la classifica, dove si avanza vincendo o al limite non perdendo le partite e per avere la meglio al gioco del calcio è necessario segnare un gol in più degli altri. O subirne uno in meno, questione di punti di vista. Precisazione scontata quanto necessaria, soprattutto dove, qui come altrove, in altri tempi s’è scambiato l’ordine gerarchico tra il risultato e la percentuale sul possesso palla. Tutto il resto sono mezzi, chiavi, strade, sotterranei per accedervi. E il calcio ha dimostrato ripetutamente come l’accesso al trionfo sia compatibile con i più disparati metodi.