17/01/2020 19:46
LR24 (MIRKO BUSSI) – Dallo stato solido a quello liquido, con la premura di non sconfinare nel gassoso. Ancora resiste, per pigrizia, oltre che per consolidato uso comune, la definizione del modulo in tre o quattro numeri che codifichino in breve la disposizione di una squadra. E nelle accezioni di calcio più tradizionaliste questa rimane ancora visibile: chi non si dota di aggressione immediata o di pressing più o meno offensivo, permette di disegnare in campo le canoniche tre o quattro linee compatte che spiegano il modulo adottato. Oppure chi stampa giocate ripetitive sul campo da attuare in fase offensiva. Il passaggio alla punta, la sponda per un centrocampista, il filtrante sull'esterno, il cross, il tiro. Semplificazioni di un approccio al calcio che sta via via svanendo.
L’evoluzione del calcio, invece, sta sfocando la nitidezza del ruolo per accogliere una dimensione nella quale ogni giocatore, a prescindere dalla posizione occupata, ha funzioni sempre più complesse all’interno dell’organismo collettivo. Per rendere più chiara l’idea, basterebbe tracciare la mutazione del ruolo del terzino nel tempo: una volta arcigno marcatore con premura di svolgere diagonali geometriche, poi nelle versioni fluidificanti poteva capitare di vederlo scorrere perpendicolarmente sul binario di competenza, adesso rappresenta una fonte di costruzione sempre più partecipativa che viene addirittura smarcata in posizione centrale, coi “falsi terzini”, oppure occupa l’ampiezza ad altezze variabili a seconda delle esigenze. Al punto che, se chiamati terzini, neanche si girano più. Loro che, col tempo, si sono pettinati come “esterni bassi”.
La maggior fluidità sistemica porta ad ingannare anche chi osserva: non è un caso che nel commento Rai di Parma-Roma sia servito qualche dibattito a (s)favore di ascoltatori per comprendere se la posizione di Cristante fosse momentanea o dovuta ad una nuova sistemazione. Questa, invece, è la fotografia delle posizioni medie occupate dalla squadra di Fonseca.
Tre giocatori disposti centralmente (Mancini-Cristante-Smalling), un vertice di costruzione come Diawara, due giocatori a fornire la massima ampiezza disponibile (Florenzi e Kolarov), un secondo vertice, stavolta di rifinitura (Pellegrini), due giocatori a trovare vie tra le linee avversarie nel centrodestra e nel centrosinistra (gli “half space”) come Under e Perotti, un ultimo vertice, di finalizzazione, rappresentato da Kalinic. Dargli un codice numerico è sostanzialmente una mera perdita di tempo, nei corsi di allenatore, da quelli regionali fino a Coverciano, viene spesso indicato come un 3-rombo-3 ed è suggerito a chi opera nel settore giovanile per aumentare l’esposizione ai duelli 1 contro 1 che si ritiene siano l’elemento maggiormente formativo nella crescita di un giovane calciatore.
Sostanzialmente, la proposta della Roma è rimasta la stessa, giovando però di alcune disposizioni variate: l’uscita dal basso, infatti, ha giovato di un sostegno in più, rappresentato dal centrale dei 3 mentre solitamente questo compito grava interamente tra i piedi di Pau Lopez. Florenzi e Kolarov hanno guadagnato metri nel posizionamento iniziale con l’effetto di smorzare la prima pressione avversaria, poiché i terzini e le mezz’ali del Parma dovevano occupare posizioni intermedie per tenerli d’occhio. La maggior pulizia nelle uscite dal basso si è poi riproposta in una capacità di dare maggior velocità allo sviluppo successivo. Dall’altra parte, nei tratti in cui la Roma stazionava nella metà campo offensiva, il posizionamento preventivo (la marcatura o il presidio di determinate zone quando si è possesso del pallone) di 3 giocatori ha permesso di soffocare con più facilità le proverbiali ripartenze avversarie oltre a permettere di salire ancora di più nel baricentro. 53,52 era stato il dato registrato a Parma nel primo tempo del 10 novembre, addirittura 56,76 quello dei primi 45’ di ieri. Metrature che la Roma ha ritrovato anche in ampiezza: 34,54 due mesi fa, 36,71 ieri.
Con i romanisti che stanno progredendo nella trasformazione da calciatori a giocatori: i primi, quelli che calciano la palla nei tragitti e nei luoghi pre-impostati durante la settimana, per arrivare ai secondi, che tramite le conoscenze acquisite e le interazioni tra loro riconosco la situazione e interpretano il gioco per trarne benefici. Perché sì, il portiere dovrà pur sempre parare, il difensore pur sempre difendere e l'attaccante pur sempre segnare, ma in un contesto evoluto le azioni dell'uno sono concatenate all'altro. E il rimpicciolirsi delle distanze, con l'aumento dell'intensità di gioco, obbliga ad una conoscenza ecumenica del gioco.
Non è certo il cambio dei numeri di cui sopra, tuttavia, ad aver ribaltato il risultato di campionato e neanche questo garantirà alla Roma una serie interminabile di vittorie consecutive. Ma quella di ieri è la rivelazione di una Roma che sta assorbendo il pensiero del suo allenatore, perdendo una configurazione statica, più semplice da apprezzare ma anche da contrastare, per trovare compimento in uno stato liquido, dove la la forma è sempre diversa, pur se uguale nei principi e nella materia che la compone.