Anche la calunnia ha un limite

09/06/2011 20:43

IL ROMANISTA (T. CAGNUCCI) - 





C’è un limite alla calunnia, all’infamia, alla meschinità, anche per chi non ha coscienza, appartenenza, ideali, sogni o valori. Anche se si volesse fare una guerra. Forse, come si dice c’è un limite a tutto. Sicuramente è stato oltrepassato quello che si traccia quando si (s)parla di . Va bene, cioè no, ma va bene dargli del romano con quell’accezione negativa che mettono gli stronzi e gli ignoranti che la danno.





Va bene, cioè no, per niente, ma va bene dargli dell’ignorante, che poi sarebbe sempre per quegli idioti un corollario del primo postulato: romano, ignorante, cafone, analfabeta, Roma Ladrona la Lega Nord e pure quella Calcio non perdona (e vai con le cinque giornate di che arrivano ogni tanto da Milano). Va bene, e non va bene per niente, metterlo in croce quando fa i pollici, quando si ciuccia i pollici, quando indica la luna, quando fa la mano a Tudor, la manita alla Lazio, i gol col laser di Goldrake, il battimuro a Radu, le magliette ai laziali che so’ provinciale (vabbè te credo) però no perché pure il telecronista di Al Jazeera le fabbrica (“the king of Rome is not dead”: do you remember?). Va bene pure che quando lui dà un calcio interviene il Presidente della Repubblica, ma se un giocatore della squadra del presidente del consiglio prende a capocciate un signore (si chiama Joe Jordan, lavora nel Tottenham Hotspurs) davanti a tutta Europa nessuno dice niente, così come troppo pochi stanno dicendo niente adesso. Avrebbero dovuto aprirci. I telegiornali ieri sera e stamattina, e quei giornali da Repubblica delle banane com’è quest’Italia alla frutta, senza dolce e tanto amaro da buttare giù come olio di ricino. Aprire con “Scusate” oppure “Abbiamo dato una lezione di come non si fa giornalismo” anzi “Esattamente è così che si frega la democrazia”. Perché come diceva il Marchese al buon Aronne Piperno “se tu me freghi qui, me freghi dappertutto”. Se tu me freghi con le Tessere del Tifoso, coi titoli su e me freghi sulla Finanziaria, sulla politica, sulla guerra. 




Ma tutto questo conta meno di niente. Perché c’è un limite a tutto e cioè c’è un limite anche al commento, alla critica, all’editoriale, allo sdegno. Certo sono i grandi della nostra storia umana che ci hanno insegnato a verbalizzare ciò che non ha verbo, a dire persino il silenzio (fate risuonare il “nothing sir” di Cordelia nel Lear di Shakespeare) dialettizare persino l’urlo (guardate il quadro di Munch). C’è Tahar Ben Jelloun che ha scritto un piccolo grande capolavoro: “Il razzismo spiegato ai mio figlio”, perché davanti a cose insostenibili, clamorosamente ottuse, false, offensive, mistificatorie, brutte, fuori quadro, contro qualsiasi sensibilità appensa sensibile, è difficilissimo dire. 



“A” dire il contrario, dire la verità. Forse qualcuno di veramente umano un giorno avrà l’arte di spiegare ai lestofanti di oggi e di ieri, alle puttane di regime e dell’informazione, che non si può vendere se stesso. E’ l’opera più difficile spiegare la verità quando il sole è la verità. Ci sono le religioni apposta.. Hanno detto che spunta il nome di nella vicenda scommesse, l’hanno detto in tv, l’hanno fotografato sui siti, l’hanno messo in prima pagina che si vendeva le partite della Roma. Diteglielo voi come non può essere vero! Dite al mare che è pieno d’acqua, cercate di capire il cielo al volo. Aiutatemi. 





non si può vendere . Se uno studiasse filosofia arriverebbe a una zona limite di quasi tutto che è il paradosso (un corto circuito logico camuffato da mistero) la contraddizione che è la sorgente più inesauribile di pensiero, di vita, di scienza, di arte. Ma se uno studiasse appena il buon senso che il paradosso, la boutade, il gioco di parole, la contraddizione sono una cosa, le stronzate un’altra. Uno scarabocchio non è un Kandisky. Chi dice “non sono d’accordo con le mie idee” dice una cretinata non dà nessuno spunto, non disvela nessuna verità. non si può vendere . non si può vendere le partite della Roma. non si può vendere. Non si può proprio dire. Non si può. No. è la Roma. E la Roma da quando è ragazzino che diventava rosso perché non credeva che un giorno lui potesse far parte di quel sogno palleggiato sul balcone di casa sua sopra al garage di un amico che lo portava per la prima volta allo stadio. Ci dormiva col pallone. alla Roma ha dato una carriera e il suo nome. Gli ha dato un ginocchio quando non aveva ancora 14 anni, e pochi lo sanno, e pochi le immaginano le paure di quel ragazzino fenomeno che si ritrova all’improssiviso sul lettino. gli ha dato un altro ginocchio, caviglia e tibia, lividi e gonfiori sulle gambe, nell’anima e nel cuore. gli ha dato persino i soldi: tra quello che ha guadagnato qui alla Roma e quello che alla Roma ha fatto guadagnare in 18 anni di diritti d’immagine, di marketing, merchandising e di tutte quelle parolacce capitalistiche, ci rimette. è la maglietta di in Africa.