Nicchi & Braschi una guida insicura per gli arbitri

19/05/2012 11:50

Nessuno è infallibile e nessuno chiede agli arbitri di non sbagliare mai, ma dire che va tutto bene, come ha fatto Braschi 48 ore fa, non aiuta il movimento a crescere. Per tutto l’anno si è assistito a continue invasioni di campo da parte di Marcello Nicchi, il presidente dell’Aia, da mesi già in campagna elettorale: irrefrenabile nelle sue esternazioni, si è sovrapposto a Braschi in molte occasioni e questo ha dato insicurezza a chi è andato in campo. In compenso l’interventista Nicchi non ha mai sottolineato uno degli errori più evidenti della sua presidenza: la divisione fra Can di A e Can di B, che ha creato una barriera, dove invece dovrebbe esserci una continua osmosi fra le due categorie. In passato, quando gli arbitri sbagliavano in serie A, ripartivano dalla B, che rappresentava l’habitat giusto per ritrovare serenità.

Oggi tutto questo non è possibile: chi sbaglia, resta fuori per un paio di partite e riparte ancora dalla A, perché con appena 20 fischietti non c’è tempo per rifiatare. La divisione fra Can A e Can B porta anche a poche promozioni e tutte ritardate, rispetto alle abitudini del resto d’Europa, dove chi ha talento arriva ad arbitrare in serie A a 26-28 anni. Anche così si spiega perché la base produce pochi arbitri interessanti e il livellamento c’è, ma verso il basso. Braschi ha parlato di un trio invidiato da tutti, quello composto da Rizzoli (arbitro principale), Tagliavento e Rocchi (arbitri di porta), che andranno all’Europeo. Rizzoli ha avuto un’annata sufficiente,matutt’altro che esaltante; Rocchi, designato per l’Olimpiade, è stato molto deludente con un rendimento al di sotto della sua esperienza; Tagliavento ha imparato da Braschi soprattutto la suscettibilità, che era una delle qualità più pronunciate del designatore, quando arbitrava.

La stagione è stata contrassegnata, almeno in partenza, da una sola raccomandazione: far scendere il numero dei falli a partita. Come dire: meno si decide e meno si sbaglia. Una tesi singolare, perché, come per i voti, i fischi non si contano, ma si pesano: ci sono partite nelle quali si può fischiare poco e altre in cui è necessario fischiare molto. Poi, dopo Milan-, lo stesso Nicchi è intervenuto annunciando una improvvisa inversione di tendenza: «Da questo momento mi sono stufato, ci sarà tolleranza zero su tutto. C’è un regolamento e va rispettato: se un giocatore protesta è giallo, se protesta tanto è rosso. Se entra a piedi uniti è rosso. Niente buonsenso o sensibilità. Si fischierà e basta ». E lo si è visto nel caso di Palacio in Udinese-, espulso per una protesta che non c’era (arbitro Tagliavento). Nel frattempo c’è stato anche un impoverimento didattico, con raduni meno rigorosi e più brevi rispetto al passato. Adesso persino l’Aia spera che si arrivi ai giudici di porta (Nicchi in partenza era assolutamente contrario). Ma non è chiaro dove si potrebbero reperire numericamente queste nuove figure, visto che non possono essere utilizzati in questo ruolo gli assistenti.