Carlo Liedholm: «Io, papà Liddas e la Roma»

21/12/2012 09:27

Anche per lui, un sentimento diviso a metà, tra i colori giallorossi e quelli rossoneri. «Diciamo che il mio cuore era sempre dalla parte di mio padre. E quando lui è stato alla Roma, il mio cuore era lì, così come quando è stato al Milan, lo era per l’altra squadra. Sono indubbiamente le due squadre che più hanno segnato la sua vita e alle quali era più legato. Al Milan ha collezionato anni, perché ai dodici da calciatore ne aggiunse nove da allenatore: cinque all’inizio, poi due negli anni 70 e ancora due quando vi ritornò nell’84. Anche alla Roma ne ha fatti parecchi, perché pur non avendovi giocato, vi è rimasto almeno dodici-tredici anni tra quelli trascorsi come allenatore e quelli come consigliere, nelle ultime stagioni».

Come venivano vissute, in casa, quelle sfide? «Vere e proprie sfide, in realtà, non ci sono quasi mai state. Nel senso che difficilmente si sono affrontate su una posizione di parità, ovvero come dirette concorrenti in classifica. Perché ci sono state stagioni in cui la Roma era nettamente superiore, e penso ai primi anni 80, quando il Milan retrocesse un paio di volte in serie B, e altre in cui i due piani, invece, si ribaltavano. E forse è stata una fortuna, per mio padre, che non vi sia mai stata, anche quando giocava, una situazione di vero e proprio “scontro” diretto tra le due squadre».

Una Roma forse minore, ma comunque bella, anche quella della prima avventura di Nils sulla panchina giallorossa a metà degli anni 70. Con quel bel terzo posto… «E’ forse la Roma che ricordo con più amore. Avevo intorno ai 16 anni e andavo regolarmente allo stadio. In casa sempre, e qualche volta anche in trasferta. La seguivo molto e mi piaceva perché era una Roma “ruspante”, ma costruita con intelligenza. Con alcuni giocatori molto validi, come Francesco Rocca, così sfortunato, De Sisti, Prati, Cordova…, ma anche tanti di quei giovani che cominciavano ad affacciarsi e sarebbero poi stati l’ossatura della Roma dello scudetto. Penso che mio padre abbia dato il meglio con quell’organico, che aveva anche elementi, senza far nomi, di minore caratura e non era certo ancora la squadra dei sogni. Aveva comunque un bel centrocampo, molto tecnico, anche se di calibro diverso da quello della Roma successiva».

Il ritorno a Roma, infatti, nel ’79, dopo i due anni al Milan, fu su altre basi. «Con Dino Viola si costruì davvero una bella squadra. Ho amato molto anche quella, anche se ha dato la delusione più grande della vita, sia per me che per mio padre. Una cosa che ancora adesso, personalmente, non riesco a digerire. Perché nel curriculum di mio padre sarebbe stato bellissimo. Se lo sarebbe meritato, così come se lo meritavano la à, la società, i tifosi e quella squadra. Quella sconfitta con il Liverpool fu davvero micidiale. Ricordo che la squadra era molto tesa, mentre in à si dava quasi per scontata la vittoria».

Quell’estate, Nils fece ritorno al Milan, anche se lo aveva già deciso in precedenza. «In realtà, voleva tornare su al Nord più per motivi personali che altro. Comunque, non economici, visto che il contratto era lo stesso. Fu più una scelta legata all’azienda di famiglia. Viveva infatti qua, e faceva spesso su e giù in giornata da Milanello. Se se ne andò da Roma fu perché, da una parte, sentiva che stava forse per chiudersi un ciclo. Dall’altra, il suo legame con Roma era così forte che venne però via con grande dispiacere. Quella sconfitta, comunque, non incise minimamente. Fu solo una coincidenza negativa. Il ritorno non fu comunque felicissimo. La dirigenza, con Farina presidente, era di quelle impresentabili. Poi subentrò Berlusconi, con il quale mio padre fece solo un anno, anche perché non legarono. Indubbiamente avevano due idee diverse del calcio, oltre al fatto che mio padre era abituato ad un altro genere di rapporti. E non deve essere stato facile per lui».

Parlavamo delle sfide, mai veramente tali, tra Roma e Milan. «E’ così. Basti dire che mio padre, amava anche portarsi dei giocatori da una squadra all’altra. Lo fece con il povero Aldo Maldera, quando venne a Roma, così come volle Agostino a Milano. Pierino Prati lo trovò invece già a Roma, dopo averlo avuto come allievo al Milan quando aveva 14 anni».

Un legame, quello con Roma, testimoniato dal ritorno sia come allenatore che in altra veste. «Non appena gli è stato possibile, ci è tornato. Anche come consigliere. Lo era stato anche per Viola, al quale suggerì proprio di prendere Eriksson, perché lo conosceva e, anche se praticava un calcio molto diverso dal suo, meritava fiducia per le idee innovative».

So che anche lei fu a sua volta consigliere di suo padre. «In realtà non voglio prendermi meriti non miei, anche se avevo fatto la scuola di Coverciano come manager, perché mi appassionava. Mio padre voleva che vedessi con lui le cassette di tanti giocatori. Fu così che scoprimmo, tra quelle che venivano dal Sudamerica, Paulo Roberto Falcao, un campione che sarebbe stato amato tantissimo a Roma. Ma allo stesso modo, vidi e gli consigliai Carlo ». Veniamo a questo Roma-Milan di sabato prossimo. «Credo che come organico, la Roma è una grande squadra. Ha giocatori dalla qualità eccezionale. Il Milan sta facendo molto bene, ma, tolti due o tre giocatori di livello superiore, tra cui El Shaarawi, non penso che per il resto possa dirsi all’altezza della Roma. Penso che un attacco con Lamela, Osvaldo e sia straordinario. Per non parlare di , che non vedevo in queste condizioni forse da sette-otto anni. E aggiungo che una coppia come quella formata da Marquinhos e sia destinata a diventare una delle più forti al mondo».

Mi sembra che la segua con grande attenzione. «Vedo tutte le partite della Roma. Anche perché ho due figli, uno tifoso rossonero e uno giallorosso. Evidentemente era destino: uno si è appassionato al Milan, l’altro alla Roma».