28/02/2013 10:47
La cifra non sembra sbalordire Azzam e i suoi vestiti impolverati, anche se non vede il fratello maggiore da una ventina d'anni. «Non è venuto al funerale di nostro padre, morto nel 1990, perché gli israeliani avevano imposto il coprifuoco in città. Così ha fatto visita alla mamma un po' di tempo dopo». Da allora si sentono due-tre volte alla settimana, via telefono o Facebook. «Ha cominciato a raccontarmi della sua passione per la squadra di calcio, mi ha raccomandato di guardare le partite in televisione, io sono tifoso solo della nazionale palestinese». Adnan Adel Aref sta andando avanti nell'operazione. Ieri ha inviato un comunicato all'agenzia Ansa per smentire «qualsiasi comunicazione fatta a mio nome sul presidente James Pallotta, su UniCredit, sulla società e sulla squadra. La persona che ha parlato non è il mio portavoce e non condivido nulla di quanto è stato detto».
La persona che ha parlato è Gigi Moncalvo, ex direttore della Padania, intervenuto come «consulente» del palestinese. La casa di famiglia sta in cima a una collina, quartiere di Rafidia. E stata costruita un paio di piani alla volta, quando c'erano i soldi per comprare il cemento e pagare i muratori: la prima parte nel 1964, le altre stanze hanno dovuto aspettare fino al 1996. Ormai è circondata da palazzoni e cantieri, che portano l'ombra e portano via la vista sulla vallata. Il giardino «dove siamo cresciuti e giocavamo insieme» è chiuso da un muretto, le stanghe arrugginite spuntano dal cemento. Azzam, 43 anni, ripete con orgoglio il proprio cognome perché i Qaddumi sono un clan potente di queste zone. Quando deve entrare nei dettagli di quali parenti conosca, parla del più noto Faruq che è stato tra i fondatori dell'Organizzazione perla liberazione della Palestina ed era vicino a Yasser Arafat come di un cugino molto lontano e molto poco frequentato (un clan può essere composto da centinaia di famiglie).
Adnan ha raccontato al quotidiano Il Tempo di «essere stato ripudiato» da giovane e di aver perso «i diritti e il sostentamento», perché aveva annunciato di volersi sposare in Italia e si era rifiutato di obbedire al padre che gli ordinava di tornare in Cisgiordania. «Nostro padre non era contrario al matrimonio, gli chiedeva di fissare le nozze al più presto, da musulmano non poteva accettare che convivesse». Azzam non sa come commentare le affermazioni sulla «parte di eredità presente in America» e congelata dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001 (sempre lo «sceicco» al Tempo): «Non abbiamo affari con gli Stati Uniti. Io addirittura non ho mai aperto un conto corrente, non mi fido delle banche e tengo i soldi a casa». Della presunta ricchezza di Adnan dice solo «perché vi stupite? Ha relazioni e conoscenze con principi sauditi».
Eppure l'ultima volta che il fratello ha inviato denaro dall'Italia è stato un anno fa. «Ha mandato 2.700 dollari per nostra madre che vive con me. Ma è stato così complicato recuperarli per i ritardi burocratici che gli ho chiesto di non farlo più. Noi non abbiamo bisogno di soldi, ho la mia auto nuova (un'utilitaria blu metallizzata), posso comprare quel che mi serve». Adnan ha frequentato la scuola superiore Qadri Tugan a Nablus e dopo il diploma ha studiato Chimica farmaceutica in una università irachena. A Perugia è arrivato nel 1980. «Questa resta casa sua, il suo appartamento e quelli degli altri fratelli e sorelle (siamo otto in tutto) che non vivono qui sono chiusi a chiave. Se dovesse aver bisogno, può tornare quando vuole».