11/01/2017 17:01
Pegli, Genova. L'allenamento è previsto per le 14.30 agli ordini di mister Juric, ma molti giocatori già intorno alle 14 si dirigono verso il tendone della palestra che fronteggia da lontano la splendida Villa Rostan, quartier generale del Genoa Football Club. Uno dei primi ad arrivare è capitan Nico Burdisso, che sembra da una vita simbolo e condottiero del grifone. Questione di carattere e di attitudine. Questione di carisma, soprattutto. Finita la seduta, scambia qualche parola con l'allenatore in merito ad avversari e relativi sistemi di gioco e dopo poco è da noi per una chiacchierata come al solito schietta e mai banale.
Sono passati 3 anni dal tuo arrivo qui a Genova. Dopo tre piazze come Buenos Aires, Milano e Roma sei approdato in una realtà più piccola: quali sono le tue sensazioni?
"Tutte sensazioni molto positive. Ovviamente all'inizio è stato un cambiamento grossissimo, ma guardando indietro questi 3 anni sono molto orgoglioso di quello che mi sono costruito qui. Sapevo di approdare in una piazza con grande storia, ma non sapevo che avevo così tante possibilità per migliorare e imparare tantissimo. In questo ultimo periodo mi sento in una forma che forse mai in carriera avevo raggiunto, probabilmente anche grazie alla gratificazione della fascia da capitano. Questa è una piazza bellissima per il calcio, così come Roma, che ho detto tante volte essere 'pazza' per il pallone. In particolare credo che un marchio di questa società sia la capacità di lasciare tranquilla la squadra nel suo percorso: è un posto fantastico per giocatori che devono crescere, devono migliorare o anche rigenerarsi. Ci sono stati tanti casi in passato: da Perrotti a Milito, da Palacio a Thiago Motta. Non ci sono tanti posti così"
Quindi non sei particolarmente preoccupato dalle partenze di Rincon e Pavoletti..
"Guarda, io mi ero molto affezionato a loro due, come a tutti i ragazzi qui. Ma questo è il calcio. Sono contento per loro e ovviamente sono dispiaciuto per me, per la società e soprattutto per i tifosi che sono i primi che pagano. Purtroppo è il calcio di oggi, è così. Ma io dico che bisogna guardare indietro e pensare: arriveranno altri Pavoletti, altri Rincon, altri Perotti, altri Suso, altri Niang che ci faranno divertire come loro"
In casa fate paura a tutti, soprattutto alle grandi. Pensi che in trasferta scontate un po' la mancanza di esperienza di alcuni elementi della rosa?
"Può darsi. Qualche aspetto psicologico dobbiamo migliorarlo, questo è stato un po' il nostro limite in questa stagione finora. Ma al di là di quello bisogna andare a vedere le prestazioni e non solo il risultato vincente contro la Juve o magari una sconfitta imprevista. Noi la pensiamo differentemente. Quello che è palese è la crescita pazzesca che abbiamo fato da luglio ad oggi e infatti sul piano del gioco in poche partite siamo andati in difficoltà"
"Si gioca come si vive": la tua frase resa pubblica da mister Ranieri anni fa è stata più volta ripresa in vari contesti. Sei sempre più convinto di quelle parole?
"Con quella frase volevo solo dire che quando uno vive in una certa maniera, poi in campo si vede, non può nascondersi. Se sei egoista, in campo si vede, così come se sei altruista. Il campo non mente. Sono sempre più convinto di questo. Per questo motivo penso che i giovani che vedo qui, che sono motivati e bravissimi, devono costruirsi un 'bagaglio' che si porteranno in giro tra lavoro, vita privata e anche comunicazione (vedi i social, ad esempio)"
E' stata quella del Leicester la storia di calcio più incredibile che tu abbia mai vissuto seppur da lontano?
"Si, forse insieme alla Grecia agli Europei del 2004. Sono pochissime e questo in qualche misura ha ridimensionato il calcio, perché tutti per un attimo abbiamo detto: allora si può! Anche se va detto che la Premier è un campionato incredibile, molto competitivo e con grandi mezzi. Sono stato contento per il calcio e soprattutto per il mister, che meritava prima o poi di vincere qualcosa di importante"
Volevo capire meglio la tua frase su De Rossi, quando l'hai definito 'troppo buono'. Che giocatore hai conosciuto a Roma? Che giudizio dai anche della persona?
"Troppo buono era inteso nel senso che Daniele spesso pensa troppo agli altri prima che a sé stesso. Fa sue magari problematiche che sono di altri: e questa è una cosa bella, ma dovrebbe anche pensare a stare bene lui. Daniele è un buono, uno generoso, che ha dato tantissimo alla Roma. Di lui, ma anche di Francesco, ho sempre parlato bene, poi magari possiamo avere visioni differenti su piccole cose, ma io penso di avere un rapporto grandioso. Poi se mi chiedono qualcosa sulla carriera di ognuno, io da sportivo rispondo dicendo la mia, senza voler fare polemica (a Roma lo sanno) o per pregiudizi. Parlo solo per dire la mia opinione e non con una cassetta registrata in bocca. Devo dire solo che è bello vedere come nel calcio moderno ci siano ancora due simboli come Francesco e Daniele"
Abbiamo l'esempio di Totti, ma recentemente è tornato in campo addirittura Veron a 42 anni suonati. Secondo te cosa spinge questi grandi giocatori a non staccare con il calcio giocato? Il sentirsi sempre e comunque realizzati dentro un rettangolo di gioco? la difficoltà nel vedersi in altri panni? Se il fisico ti sorreggerà, lo faresti anche tu o hai già stabilito indicativamente una data?
Non ho stabilito alcuna data, perché come ti dicevo mi sento benissimo e ho fatto 18 presenze su 18 partite dal Genoa in campionato (più 2 in coppa Italia). Negli ultimi anni di carriera un giocatore inizia a pensare partita dopo partita e non anno dopo anno. Io ho tantissima voglia di giocare e penso che l'importante è trovare le giuste motivazioni quando uno scende in campo, divertirsi e sentirsi utili. Quando uno non sente queste cose è giusto fare un passo indietro: questo non mi spaventa. Sono preparata per il dopo. Francesco e Veron se sono ancora in campo è perché credono di essere ancora utili alle proprie squadre, io credo che nasca tutto da lì. E poi nello specifico stiamo parlando di due giocatori, per i quali la sola presenza in campo aiuta tanto i compagni. Il carisma che si portano appresso va oltre la qualità calcistica: stiamo parlando di casi eccezionali"
In una intervista di qualche tempo fa hai ammesso che attaccati gli scarpini al chiodo, vorresti 'fare il l'uomo', come disse Facchetti: ma all'interno o fuori del mondo del calcio? Magari in panchina?
"Ho già fatto il corso da allenatore e mi piacerebbe cimentarmi in quel ruolo. Quando ho ricordato quella frase di Facchetti intendevo dire che mi piacerebbe fare tante cose che con il calcio ho dovuto un po' trascurare. Sono dovuto andare via dal mio paese da bambino a 13 anni e quindi mi rimane ancora la curiosità per moltissime cose che vorrei fare, come ad esempio avere più tempo per stare con i miei figli. Ma non intendo per questo uscire dal mondo del calcio, ci sto dentro da 20 anni e penso che posso dare ancora tanto"
"In ogni storia di un calciatore c'è della sofferenza, piccola o grande che sia": anche queste parole tue. Pensi che chi ha coltivato una sofferenza maggiore per emergere poi abbia avuto una marcia in più nel calcio?
"Se questo calciatore è stato intelligente, ha saputo capitalizzare la propria sofferenza, l'ha saputa utilizzare in maniera positiva, allora sì. Ma questa è una sfida che lancio ai giornalisti: quando si parla ad esempio di mercato, di andare a vedere cosa c'è dietro ogni giocatore, all'essenza. Dietro ad ogni storia, da Messi a Cristiano Ronaldo, fino a Totti ci sono tante ore di sofferenza, di lavoro. Non vuol dire che sono momenti brutti, assolutamente. Vuol dire che nel momento in cui ancora non sei nessuno, stai ipotecando tutto, stai pensando a costruire un futuro, ma non hai ancora realizzato niente e non hai alcuna certezza. Stai facendo una grandissimo sforzo ad un'età nella quale non sei preparato per quello. Per qualsiasi professione, come ad esempio il giornalista, puoi decidere a 18, 19, 20 anni di intraprendere quella carriera. Se vuoi fare il calciatore lo devi decidere a 10 anni e da lì partono le sofferenze. Non tutti i bambini hanno le capacità per farlo: lo vedo ora con mio figlio, che gioca qui nelle giovanili del Genoa. Ritornando alla mia frase iniziale, io sono convinto e sicuro che non c'è nessun calciatore che sia arrivato solo giocando la domenica: neanche Totti. Francesco ha fatto tanti anni da professionista, ma dietro ha avuto sicuramente una famiglia che gli ha dato sostegno e che l'ha aiutato soprattutto nella fasi iniziali e questa è una parte bellissima del calcio, è l'essenza vera del calcio: quella che ha mosso principalmente tutti noi e che non c'entra nulla con la ricchezza, la fama, gli orologi, le auto di lusso, le donne. Ed è per questo che poi all'età di Francesco o di Veron sei ancora in campo: per l'essenza di questo sport"
Hai definito il Genoa e la fascia da capitano per te 'un premio alla carriera'. Allora dammi qualche 'best' nel tuo cammino nel calcio. Miglior allenatore?
"Carlos Bianchi. In assoluto. Mi dispiace che lui abbia avuto una parentesi negativa a Roma. Di lui parlano i numeri, non io. A me personalmente mi ha fatto crescere come giocatore e come persona. Ancora oggi lo sento e ho un gran rapporto con lui. Abbiamo vissuto insieme vittorie pazzesche, come due coppe Intercontinentali e varie coppe Libertadores. Lo ringrazierò per sempre per avermi dato la possibilità di emergere e di costruirmi quel 'bagaglio' di cui ti parlavo prima, che ti porti dietro per tutta la carriera"
Presidente?
"Devo dire Moratti. Potrei dire anche Maurizio Macri che ora è presidente in Argentina. Ma anche Rossella Sensi che aveva promesso e poi mantenuto, o anche Preziosi, che è un presidente con cui mi confronto ogni settimana e mi sorprende per quanto sa di calcio. Ma dico Moratti, che in un momento difficile come è stata la malattia di mia figlia ha saputo dire: 'tu ora non puoi giocare a calcio, torna a casa tua'. Lo devo assolutamente dire, perché oltre alla persona, c'è questo gesto che è unico"
Compagno di squadra?
"Walter Samuel. Per me è stato un mito. Quando ero bambino e vedevo lui iniziare in under 20, nel Newell's, nel Boca lo ammiravo anche per carpirne qualcosa. Poi quando sono salito in prima squadra nel Boca lui era lì, abbiamo vinto insieme la Libertadores ed io ero un ragazzino, gli lucidavo le scarpe, (ride, ndr). Poi ho seguito la sua crescita in Europa, quindi ci siamo ritrovati all'Inter, dove abbiamo vinto tanto, e in nazionale. Tante ore insieme, in stanza insieme. Lui è un personaggio che si fa assolutamente voler bene: un leader silenzioso. Se devo dire un personaggio nel calcio dico senza dubbio Walter".
MDR