La A passa, il calcio resta. Quelli che non smettono mai

28/11/2008 12:23

E' il club "Mai dire ex", gente che per sentirlo ancora, quel brivido speciale, ha deciso di continuare a giocare nei campionati minori. Magari tra i dilettanti. Che poi l'ultimo arrivato, il 44enne Marco Ballotta, il momento topico del calcio l'ha sempre vissuto al contrario: "E francamente non ne potevo più. I miei compagni che segnano ed esultano come pazzi, io in porta a raccogliere palloni. Una parata non ti dà la stessa vibrazione. Avevo una gran voglia di farlo io, un gol, vivere l'emozione dei miei amici attaccanti e vedere l'effetto che fa. Così ho ricominciato nella squadra del mio paese, il Calcara Samoggia, in Prima categoria: ma da centravanti. Domenica scorsa ho giocato nella ripresa, la prossima sarò titolare: l'allenatore me lo ha comunicato e io non vedo l'ora".

Ma il "calcio fuori dalla porta" lo ha già scoperto, al debutto, e ha capito che è un altro mondo: "In campo è tutto un lamentarsi e rompere le scatole: troppe proteste e sceneggiate. Sì, anche nei dilettanti. Io non sono così, bisogna pensare a giocare, a divertirsi. Io ho ricominciato per quello, per passione. Non riesco proprio a stare fermo, e dopo 27 anni ad alti livelli non potevo fare il in Prima categoria. Questa è un'esperienza nuova, bellissima, con amici che conosco da tanto tempo. C'è il gusto della competizione, ma in leggerezza. Non sopportavo più di vivere sotto pressione; ho fatto un calcolo: ho passato dieci anni in ritiro, mettendo insieme quelli estivi e quelli pre-partita. Dieci anni chiuso negli alberghi, si rende conto? Non hai mai un attimo per te".

Il giorno è in ufficio, nella sua azienda di geotermia ("Riscaldare senza immettere gas nell'atmosfera, bisogna darsi una mossa per trovare nuove fonti d'energia e migliorare l'ambiente"), la sera si allena: "Non sono malaccio come centravanti, l'avevo già capito nelle partitelle con Parma e Lazio, me l'hanno sempre detto tutti. Ho pure sfiorato un paio di volte il gol, in serie A, nelle disperate mischie finali. Adesso segnare è diventato il mio mestiere, finalmente".

Enrico Chiesa il mestiere non l'ha cambiato: lui ha sempre segnato, solo che adesso i gol li fa nel Figline, primo nel girone B della Seconda divisione, l'ex C2. A Bassano, domenica, è stata una battaglia: 2-2, rimonta firmata nel finale dai 37enni Robbiati - Spadino, già genietto piuttosto incompreso della - e Chiesa. Che conferma: "Sì, l'emozione del gol è la stessa. I fischi di mille persone fanno male come quelli di 70mila, anzi forse li senti pure di più addosso. E come quando giocavo in A e in nazionale, m'incazzo, anche con gli arbitri, e sono lo stesso di sempre: voglio vincere, non mi basta partecipare. Contano le motivazioni, pure in questi campionati. Io mi diverto e nello stesso tempo do qualcosa agli altri, ai compagni più giovani. Loro sono curiosi, vogliono sapere mille particolari della mia carriera, dei campioni che ho incontrato. Nelle prime settimane mi guardavano come un mito, poi si sono abituati e ora qualcuno già dice "Enrico, hai visto? Calcio come te". Scherzano". Gli amici non hanno capito la sua scelta, all'inizio: "Mi dicevano: ma chi te lo fa fare, dopo tanti anni di grande calcio, a fare brutte figure in C2? Chissenefrega delle brutte figure, rispondevo. A me non va di restare sul divano a guardare la tv. Così invece continuo a vivere emozioni e sono a due passi da casa e dai miei bambini, a Firenze. E poi altro che brutte figure: già 4 gol e 6 o 7 assist. In più, non sei tormentato dalle mille polemiche settimanali: il calcio di serie A sembra proprio che non riesca a farne a meno, è triste. In questa società c'è gente seria, ho due anni di contratto e poi magari mi metto ad allenare".

No, il club "Mai dire ex" proprio non condivide la scelta di quelli come Rivera e Roby Baggio, che una volta chiusa la carriera da fenomeni non giocano più neanche in spiaggia. Eppure il passaggio dal calcio-stress al calcio-leggerezza non è così agevole. Lo fa capire Marco Delvecchio, 35 anni, ex (ops!) uomo-derby ora attaccante del Pescatori Ostia, campionato di Eccellenza: "Qualche volta mi diverto, qualche volta no, per niente. Dipende dai campi. Ce ne sono di terribili, in terra e pieni di buche. Alcuni sono in erba sintetica: si gioca bene, per carità, ma per i tendini non sono proprio il massimo".

I difensori, poi, nell'inferno dell'area non mostrano timori reverenziali: "Macché: magari ti rispettano, sì, ma quanto picchiano". Però il vizietto non l'ha perso: "Quattro partite, cinque gol. Cappioli, che qui fa l'allenatore-giocatore, è soddisfatto. Cosa mi manca del grande calcio? Facile: i campi. Le pressioni enormi invece no, non mi mancano affatto, anche se poi in fondo mi sono sempre piaciute".

Chi si diverte ancora tanto è Diego Fuser. Lui e Gigi Lentini sono primi in classifica con la Saviglianese, in Promozione, e sono felici della loro sindrome di Peter Pan: "Giocare a pallone è bello, ragazzi. Per questo si continua, anche se non ci sono più 80mila persone a guardarti. Per questo e per tenersi occupati, la domenica, per non smettere di allenarsi. E poi a 35 anni per il calcio che conta sei vecchio, ma per la vita sei giovane: allora perché mollare? Io ne ho 40 e in campo corro ancora un sacco, anche se vorrei che lo facessero i più giovani per me. Gioco pure con la nazionale over 40: ci sono Antognoni (che lanci, che classe), Vierchowod, Eranio. La vera differenza è che quando segno non esulto come se fossi in serie A: mi sentirei ridicolo, lo ammetto. L'intesa con Gigi Lentini invece è la stessa dei tempi del Toro. Ed è uguale anche la sua finta, sempre quella da cent'anni...".