26/12/2008 17:34
Come è nata la passione per il suo mestiere e qual è stato il percorso che l'ha portata ad esercitarlo ai massimi livelli?
"Il calcio mi ha sempre affascinato. Come tutti i bambini mi piaceva giocarlo. Durante il periodo delle scuole superiori ebbi un insegnante di educazione fisica, Paolo Di Fonzo, che era il secondo di Bianchini, il noto allenatore di basket. Seguivo quello sport, così come il calcio. Mi appassionai in generale alla pratica sportiva dal punto di vista dell'insegnamento e decisi di fare l'Isef. Iniziai quindi a svolgere l'attività di preparatore nel calcio: prima in una squadra del mio quartiere, la Basilica di San Lorenzo, successivamente nella Romulea, che era la squadra di San Giovanni; poi, nella stagione 88/89 arrivai alla Roma".
Quale dote non deve mai mancare ad un preparatore atletico?
"La disponibilità a saper ascoltare gli atleti. Bisogna saper dialogare con loro e percepire le loro sensazioni".
Una carriera densa di soddisfazioni, la sua: a quale ricordo è particolarmente legato?
"Non ho dubbi, la vittoria dello Scudetto".
Il momento più delicato?
"L'infortunio di Francesco prima dei Mondiali in Germania del 2006"
La partita della Roma che più l'ha emozionata.
"Ricordo con piacere alcune vittorie importanti, che coincidono con altrettante prodezze di Francesco: sicuramente Real Madrid-Roma del 2002, ma anche il successo di Valencia nel febbraio del 2003 e la stessa Roma-Parma nel giorno dello Scudetto".
Come consuma il tempo libero Vito Scala?
"Lo dedico alla famiglia. Con mia moglie cerchiamo di seguire il più possibile i nostri tre figli: tra attività sportive, catechismo e svaghi, vi assicuro che quello del genitore è un mestiere impegnativo".
Come se la cava con il pallone in mezzo ai piedi? Ha nel repertorio qualche colpo alla Totti?
"Macchè. Ero un buon difensore, poca tecnica e molta aggressività: tutto cuore, insomma".
Le farebbe piacere se uno dei suoi figli volesse dedicarsi alla carriera di calciatore?
"Credo che il calcio possa diventare una grandissima illusione, nel senso che giocare a calcio può essere una passione, ma per farla diventare una professione bisogna avere delle qualità e soprattutto la disponibilità a rinunciare con costanza a molte cose. Dai miei figli pretendo comunque che diano la priorità alla cultura, quindi alla scuola e all'educazione. Se dovessi scegliere tra l'avere un figlio calciatore e uno che svolge una professione legata ad una buona cultura, preferirei questa seconda possibilità".
Una volta lei disse che Francesco è una persona molto buona e spesso cade in facili tranelli per colpa della sua bontà.
"Lui è un ragazzo molto generoso, il suo peggior difetto ma anche il miglior pregio è proprio quello di non sapere chi è e cosa rappresenta. In alcuni momenti le persone che si avvicinano a lui lo fanno per convenienza, non perché gli vogliono bene. Lui si è fidato di alcune persone che gli hanno offerto la loro amicizia e poi hanno sparlato alle sue spalle. Questo non l'ho mai tollerato".
A parte Totti, qual è stato il giocatore che più l'ha impressionata dal punto di vista fisico e atletico?
"Ce ne sono diversi, ma scelgo Zambrotta: ha grandi doti fisiche oltre ad essere un grande professionista".
Tra i ragazzi passati per Trigoria, quale può essere definito il talento più inesploso?
"Da ragazzino Choutos è stato il giocatore che mi ha impressionato maggiormente. Pensavo che si sarebbe affermato ai massimi livelli ed ero pronto a scommettere su un destino calcistico".
Un calciatore che lei ha avuto modo di seguire per tanti anni, Vincent Candela, quando diede l'addio al calcio, in età relativamente giovane, disse: "Il calcio è cambiato: è più fisico, meno tattico e tecnico. Oggi i calciatori sono tutti più alti, più rapidi ed hanno tutti meno cervello".
"Sotto certi aspetti è vero. Una volta un talento poteva essere un brevilineo e veniva preso in considerazione. Ora l'aspetto fisico è più importante. Anche se ci sono dei calciatori che riescono ad unire forza fisica a grande tecnica".
Franco Sensi ha più volte lamentato la necessità di una grande stampa romana attorno alla squadra. Qual è il suo giudizio?
"Come in tutti i settori credo che ci siano grandi professionisti e al contempo persone che scrivono senza verificare i fatti. Sotto certi aspetti in altre piazze la stampa è più protettiva verso la squadra. In questo caso probabilmente lo è di meno e mi riferisco in modo particolare alle notizie che riguardano ambiti privati".
Al di la' degli infortuni, qual è stato il momento più delicato della carriera di Totti?
"Francesco attraversò momenti difficili quando era più giovane, mi riferisco all'avventura con Carlos Bianchi, quando venne messo in disparte. Sotto l'aspetto psicologico, nell'ottica di una gestione complessiva di Francesco, la fase più delicata fu quella che seguì agli Europei del 2004 in Portogallo. Lì uscì un'immagine che non corrispondeva alla sua. Il tempo per fortuna gli ha dato ragione, ma indubbiamente in quel momento qualche difficoltà c'è stata".
Quale degli infortuni è stato più difficile da superare dal punto di vista psicologico e quale dal punto di vista della riabilitazione?
"Il primo sicuramente: quella caviglia gli è esplosa con una doppia frattura. Un infortunio che difficilmente capita ad un calciatore. Non sapevamo come poteva reagire durante il protocollo riabilitativo: giocare con tredici viti in una gamba poteva costituire un problema. Poi c'erano i mondiali ai quali Francesco non voleva mancare: tutto questo richiedeva un'attenzione particolare e un'azione 'con il misurino' visti i tempi brevi".
Totti ha recentemente affermato che lei è un amico e un fratello e che gli ha sempre dato i consigli giusti. Anche quando ha sbagliato.
"Il nostro è un rapporto di sangue. I segreti che custodiamo devono rimanere tra noi. Ci capiamo con un'occhiata e agiamo di conseguenza".
Totti e la Nazionale. Francesco ha più volte detto che si trattava di un capitolo chiuso. Salvo aggiungere: "forse ci penserei", se fosse Lippi a insistere. Quante possibilità ci sono di rivederlo in maglia azzurra?
"Vorrei entrare poco in questo discorso, perché oltretutto faccio parte dello staff della nazionale. A prescindere dagli aspetti calcistici, dico che Francesco è riconoscente a mister Lippi, perché in un momento di grande difficoltà, in occasione del primo infortunio, quando la carriera del calciatore era a rischio, il commissario tecnico il giorno dopo stava accanto al suo letto a dirgli che lo avrebbe aspettato al Mondiale. Quelle parole ebbero un significato inestimabile. Al di la' dell'aspetto professionale, nella vita esistono dei punti di riferimento. Se Lippi chiede a Francesco qualcosa, lui è a sua completa disposizione, perché gli è riconoscente. Questo però non c'entra con la Nazionale, perché il loro è un rapporto che va oltre".
In molti hanno più volte parlato di un Totti finito. Il Capitano ha sempre messo a tacere i suoi critici.
"Ci sarebbe molto da parlare. Totti finito potrebbe far piacere a qualcuno: perché la sua presenza e la sua personalità forse offuscano quelle di qualcun altro. 'Totti finito' è un concetto assurdo: nessuno ha mai voluto forzare il suo recupero né stabilire record. Tutti quelli che lavorano attorno a Franceso, me in primis, tengono alla sua salute. Prima di prendere una decisione pensiamo non una volta, ma centomila per tutelare il Totti-uomo. Per quanto riguarda il Totti-calciatore, deve durare il più a lungo possibile. Il suo addio al calcio giocato deve avvenire più lontano possibile. Figuriamoci se noi prendiamo scelte che vanno contro il suo interesse. Abbiamo sempre avuto totale stima del Professore Mariani che lo ha operato. Qualcuno ha detto che l'operazione era sbagliata: abbiamo preferito rimanere inizialmente in silenzio, i risultati poi si sono visti. Bisogna saper aspettare, perché i fatti rispondano a tutto quello che viene millantato intorno".
Saprebbe attribuire una causa alla crisi della Roma di inizio stagione e individuare la molla che ha fatto scattare la rinascita?
"I motivi possono essere tanti e pochi allo stesso tempo. Questo gruppo è formato da grandissimi professionisti, che vanno dai dirigenti ai calciatori. Siamo stati uniti quando le cose andavano bene così come nei momenti difficili: ci siamo rimboccati le maniche per uscire dal tunnel di inizio stagione. Le cause della crisi? Chi lavora sbaglia: tutti noi possiamo aver commesso degli errori in buona fede".
Quanta importanza attribuisce al cambio di modulo?
"Quello è un aspetto prettamente tecnico e tattico. Se l'allenatore ha valutato di cambiarlo avrà avuto i suoi motivi. In generale penso che il trand negativo fosse legato ad una serie di coincidenze negative".
Totti ha il contratto in scadenza nel 2010: il rinnovo è una pura formalità?
"Francesco ha un rapporto tale con la società che non c'è motivo di soffermarsi sull'argomento. Il legame è talmente inossidabile che va al di là di ogni rapporto professionale".
Vito Scala ha mai pensato al giorno in cui Totti smetterà di giocare? Le piacerebbe trovare subito un campioncino da crescere sotto la sua ala protettiva?
"Il lavoro fatto con Francesco è irripetibile. Il nostro è un rapporto così stretto: ci lega un feeling particolare che genera a sua volta una totale fiducia reciproca. Lo conosco da quando aveva dodici anni: era un bambino, oggi è un padre di famiglia con due figli. Venti anni assieme li passi solo con un famigliare, come io del resto lo considero. Per cui sarebbe impossibile ripetere il percorso con un altro ragazzo".
Quindi se un giorno vedesse un ragazzino, caschetto biondo, che esegue un cucchiaio, resisterebbe alla tentazione di intraprendere una nuova cavalcata?
"Difficile, difficile. Non credo che potrei rifare tutto quello che ho fatto e che sto facendo con Francesco".
Difficile anche che quel ragazzino abbia davvero la stoffa di Totti?
"Assolutamente".
Vito fissa il vuoto. Socchiude gli occhi, che nel frattempo si sono fatti malinconici. Forse sta pensando davvero al giorno in cui la parabola di Francesco conoscerà la fine. Magari già sa che non ci sarà un altro Totti. Poi lo sguardo gli si fa improvvisamente vispo, sorride e spezza il silenzio: "Forse Cristian". Prego? "Il piccolo Cristian. Saremmo in due a seguirlo: io e il papà". Vito e Francesco. Come la prima volta.