06/02/2013 20:22
«La convinzione della Corte, maturata a seguito della scrupolosa lettura delle dichiarazioni dell'appellante - scrivono i giudici di secondo grado nella motivazione resa nota oggi -, è che esse non possano costituire in alcun modo prova della commissione dell'illecito alterativo, a propria volta presupposto delle incolpazioni a Grava e Cannavaro ed alla Società Napoli, rispettivamente per omessa denuncia dell'illecito contestato ed a titolo di responsabilità oggettiva».
In 12 pagine la Corte fa quindi «un elenco delle discrepanze e delle incoerenze nel racconto di Gianello» in merito alla presunta combine di Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2011 per cui l'ex terzo portiere, secondo quanto dichiarato ai pm campani e poi in Procura Figc, avrebbe cercato di coinvolgere gli ex compagni Grava e Cannavaro. Tentativo di cui aveva riferito anche l'ispettore di polizia infiltrato, Gaetano Vittoria, ma che, avendolo appreso dallo stesso Gianello, non può «assumere la veste di autonomo riscontro». Inoltre, di fronte agli inquirenti napoletani, l'ex terzo portiere, «sembrava rispecchiare il suo desiderio di conformarsi alle dichiarazioni dell'Ispettore Vittoria» perchè «evidentemente egli mostrava di non nutrire altro timore in sede penale che quello legato a frequentazioni pericolose ed al connesso mondo delle scommesse». Un comportamento che lascia nella Corte «irrisolti dubbi sulla buona fede del dichiarante», descritto come «una persona dedita alle scommesse», «la cui figura è opaca, scaltra e dannosa per lo sport». E per questo punita con 21 mesi di squalifica per slealtà sportiva.
Nelle dichiarazioni di Gianello, secondo i giudici, c'è infatti una «crisi di credibilità, serietà, uniformità, armonia: la più grave delle fratture presenti nel discorso di Gianello è costituita dall'ingiusto coinvolgimento del calciatore Quagliarella nella trama illecita.L'attaccante viene impudentemente citato come terminale della presunta proposta corruttiva,salvo poi essere con non minore spregiudicatezza del tutto scagionato». Il portiere, inoltre, «non ha mai indicato il prezzo del delitto, ossia il profitto dell'illecito che sarebbe stato conseguito dai calciatori del Napoli» e «manca, in particolare, la prova persuasiva che ai due difensori (Grava e Cannavaro, ndr) si fosse esplicitamente e chiaramente proposto di giocare a perdere, e per di più in vista di un lucro illecito. E mancando l'illecito - anche nella forma del tentativo punibile -, corrispondentemente mancava l'oggetto della sua, altrimenti dovuta, denuncia», conclude la Corte federale.
(ansa)