Dalla legge Beckham a Hollande, in Europa il fisco fa gol

24/10/2013 20:26

In prospettiva però la nuova legislazione potrebbe disincentivare tanti campioni a trasferirsi in Francia, favorendo viceversa altri Paesi dove il regime fiscale è più vantaggioso. A cominciare dalla Russia, che potrebbe diventare un vero bengodi del pallone anche sotto il profilo fiscale, considerando che nel Paese di Putin è in vigore una sola ed unica tassa (non progressiva) con aliquota del 13%. Insomma, d'ora in avanti sarà sempre più difficile pensare a ricchi trasferimenti in Paesi oggi economicamente più fragili e dove il prelievo fiscale è ben maggiore. Se ne sono accorti anche in Spagna, finora uno dei lidi più 'generosì per le star del pallone, dove le manovre finanziarie 'lacrime e sanguè hanno cominciato a colpire i maxiredditi. Dall'1 gennaio 2012 in Spagna, infatti, coloro che dichiarano al fisco redditi superiori ai 300mila euro, devono versare nelle casse dello Stato ben il 52% (il 56% in Catalogna).

Eppure, grazie alla legge Beckham (approvata dal governo Aznar nel giugno 2005 e poi abrogata nel gennaio 2010) la Spagna era diventata negli ultimi anni terra di conquista non solo di trofei, ma anche di fuoriclasse del pallone grazie ad un'aliquota ridotta dal 43% al 24% per tutti i lavoratori stranieri con introiti superiori ai 600.000 euro annui. Un quinquennio dorato (e di grandi successi sportivi) che ha consentito di battere ogni concorrenza. Basti pensare che in Inghilterra l'aliquota sugli stipendi dei calciatori è oggi al 50% e si applica alla parte del reddito che eccede le 150mila sterline l'anno, in Bundesliga al 42% (45% per i redditi sopra i 250.700 euro), in Serie A al 43% (46% sopra i 300.ooo euro) e in Ligue 1, prima della 'supertassà, al 40%. In questo modo i club spagnoli hanno potuto offrire ingaggi milionari a tanti campioni pagandoli il 30% in meno rispetto ai club degli altri campionati europei. La a volte si vince anche così.  

(ansa)