24/02/2014 08:18
IL TEMPO (R. SENSI) - Abbiamo ascoltato "illustri" opinioni, se non diktat, sull’applicazione delle norme relative alla discriminazione territoriale da parte dei vertici calcistici e domani anche l’Alta Corte del Coni si pronuncerà sulla chiusura di alcuni settori dello stadio Olimpico.
Il Presidente della Lega Maurizio Beretta sostiene: «il sistema che sanziona le esternazioni negli stadi deve essere rivisto. Ci sono gli strumenti per individuare con certezza i responsabili di ogni coro. Abbiamo mezzi tecnologici all’avanguardia, ci sono le telecamere ad alta definizione che permettono di individuare eventuali reati commessi».
Il presidente Giancarlo Abete afferma «se passasse una dimensione in cui questa realtà viene depotenziata in termini sanzionatori assisteremmo ad una libertà di insulto generalizzata. Il contrasto è più di carattere sociologico che normativo».
Punti di vista molto lontani tra loro, ma ugualmente freddi e distanti dalla gente. Le due massime istituzioni calcistiche, pur riconoscendo che qualcosa non funziona, si dichiarano comprensivi ed impotenti, al punto da non aver nemmeno una visione comune sul futuro provvedimento riparatore di fine stagione. Vorrei fare un passo indietro. Ero impegnata direttamente nel calcio quando si impose alle società di investire miliardi per tornelli, controlli sofisticati, biglietti nominativi, limitazioni nella vendita, tessera del tifoso, riprese tv verso le tribune, stewart. Il calcio si è messo in regola ed ha perso un terzo del pubblico, causa l’impossibilità di essere normali e cioè di decidere alla domenica di poter comprare un biglietto, visto che c’è il sole, e magari portare un amico e suo figlio, naturalmente senza tessera del tifoso, non è più possibile.
Poi, svuotati gli stadi, si è pensato a rifarli, moderni e funzionali, tali da riportare il tifo all’interno. Risultato: impossibile avere una legge idonea ad accelerare l’iter realizzativo. Poi è arrivato il razzismo e infine la decisione di lottare contro la discriminazione territoriale, l’ultima strada da percorrere buona per ora solo ad amplificare il fenomeno. Si sbaglia, e questo fa parte della normalità. Ma una norma che non funziona e che provoca solo l’odiosa reiterazione degli insulti tra tv, giornali, radio, deve trovare delle risposte adeguate. Quando si sa che esistono tabulati con nomi e cognomi di chi entra nei settori dello stadio, avendo un titolo di pagamento, non si può colpire alla cieca.
Non parlo per la Roma,mi riferisco a Torino, Milano, Napoli, tutti. Oggi sappiamo chi ha partecipato o meno ad un coro, conosciamo quanto meno i presenti del giorno. Nel caso della Coppa Italia, che non è campionato, in teoria nessun abbonato potrebbe risultare presente all’evento. Se poi chiudiamo il settore per il massimo torneo non rispettiamo le norme sanzionatorie, come dicono Abete e Beretta, ma commettiamo semplicemente un abuso contro il diritto di un incolpevole abbonato, provocando ingenti danni morali, perché il provvedimento ne limita anche la possibilità di accesso all’evento in altro settore. Di fatto è un daspato in conto terzi. Qualcosa da indignarsi e invece sembra tutto normale. Mi chiedo cosa ne pensi l’ex Ministro dell’Interno onorevoleMaroni, lui che la discriminazione territoriale se la ascolta in casa («Roma Ladrona»)...
Ora di fronte ad alcuni cori seppur biasimabili, tolgono la possibilità di andare allo stadio a tifosi che hanno pagato l’abbonamento, hanno lasciato i loro documenti e hanno aspettato magari di vedere quella partita con i loro figli perché magari ha un sapore speciale.
Nel caso della Roma il ridicolo arriva dal giudice sportivo, il signor Tosel, che applica un’ulteriore multa di euro 80 mila alla società, dimenticandosi di aggiungere: «utilizzateli per rimborsare gli abbonati non presenti nei tabulati di Roma-Napoli di Coppa Italia, ve lo chiede la Lega». Tosel è una brava persona, temperante e capace, avrebbe potuto dare una mano al sistema, provocandolo.
Indignarsi è poco, la certezza del diritto in questo paese viene rispettata per poche norme e addirittura, a detta di alcuni, da rivedere ma non abolire.
L’attuale ministro degli Interni, onorevole Alfano, perché non ha pensato ad esprimersi a garanzia di uno Stato presente che non “punisce” ma che tutela i cittadini che, soprattutto in un momento di crisi, hanno bisogno di un momento di svago.
Non si può ledere il diritto di un cittadino e poi arroccarsi dietro la presenza di una norma su cui si basa un sistema sanzionatorio errato secondo le pubbliche dichiarazioni degli stessi estensori.
Per anni, e non pochi, ricordo di aver sentito negli stadi insulti a noi romani. Questo è territoriale o razziale? Si rivolge alla città o discrimina i suoi abitanti? È allucinante pensare che nessuno si interessi a modificare le norme e si nasconda dietro il politically correct.
Oggi più che mai i tifosi, in primis quelli romanisti, corretti e quindi discriminati, che si sentono lesi da questa ingiustizia, hanno bisogno di sentirsi tutelati come tutto il nostro calcio. Le società, la Roma, cosa devono fare? Pagare una multa per poi non poter neppure vendere i biglietti per far assistere alla partita i suoi tifosi?
Qualche “eminente” politico, anni fa, mi disse «presidente la Roma è di tutti, non deve pensare a certi problemi». Ma proprio perché è di tutti cosa sta facendo questo signore per difendere la nostra Roma? E con la Roma la credibilità del calcio italiano?
Tutelare la società significa tutelare i suoi tifosi e quindi una città intera, lasciare la libertà di andare allo stadio in un momento importante per la squadra significa «sentirsi utile per la causa».
Ma che succede? È aberrante…
Se il problema è la Roma, l’Alta Corte metta un punto dopo Roma-Inter, a bocce ferme. Hanno i tabulati e i nomi, li usino. Guai a discriminare ed offendere gli abbonati del calcio. Chi venderà più una tessera nel 2014-15?