29/06/2014 11:18
GASPORT (A. D'URSO) - Due piazze. Ventimila persone a Catania, 20mila persone a Scampia, 7 anni e 142 giorni dopo. Due vittime innocenti. Due mondi lontani, ma in perenne contrasto. Uno aveva l’uniforme, due pentagoni dorati come distintivo, era uno «sbirro». Si chiamava Filippo Raciti ed è morto nella notte del derby Catania-Palermo il 2 febbraio 2007. L’altro era solo un tifoso del Napoli, ma soprattutto «un ragazzo, non un ultrà», per dirla con le parole della fidanzata Simona: un proiettile sparatogli il 3 maggio se l’è portato via in fondo a 53 giorni di agonia. Due tragedie e una domanda che si prende tutte le piazze d’Italia: c’è ancora bisogno di eroi e di dolori così grandi, attorno ai quali rilanciare la parola magica «riscatto», oppure serve qualcosa di diverso per combattere la violenza negli stadi.
In uniforme Che cosa è stato il sacrificio di Raciti, solo chi ha vissuto i marciapiedi di Catania può dirlo. Era una battaglia annunciata, quella tra tifosi catanesi e palermitani. La gara si sarebbe dovuta giocare alle luce del sole, altre «necessità» imposero le 20.45. Al culmine degli scontri l’ispettore cadde ferito da un sottolavello scagliato (3 gradi di giudizio lo certificano) da Antonino Speziale (condannato a 8 anni per omicidio preterintenzionale), il poliziotto morirà a tarda sera. I funerali del 5 febbraio, giorno della festa di Sant’Agata, furono una dura lezione per la tribù del calcio. In piazza Duomo gonfaloni e carabinieri in alta uniforme, uno sciame di vescovi in Cattedrale: quel giorno Catania offrì il cuore, donne e uomini vollero ribadire che una comunità civile c’era, malgrado tutto. Lo Stato era rappresentato dai ministri Amato e Melandri, tanta gente si identificò nelle forze dell’ordine. E il calcio ripartì con l’intento di reprimere ogni focolaio di violenza. Tolleranza zero, con tutto il senso di partecipazione e rimpianto che quell’evento tragico richiedeva.
In maglia nera Venerdì in «piazza Ciro Esposito» sono stati invece gli ultrà del Napoli a indossare l’uniforme: una maglia nera, non più con la scritta «Speziale libero», ma con l’omaggio «Ciro 1 eroe». L’altra metà del cielo calcistico, quella delle curve, si è unita alla piattaforma dei discorsi e delle autorità in un abbraccio ideale al ragazzo, cui ieri anche Gonzalo Higuain ha dedicato un tweet («addolorato per la morte assurda di Ciro, un abbraccio alla famiglia»): niente più vuoti, fratture, odio, risentimento, ma volontà condivisa di dar seguito alle parole di mamma Antonella, che prega gli ultrà di onorare la memoria di Ciro, «cancellando la sete di vendetta». Una nuova fiamma di «riscatto» accesa dalla gente di Scampia, afflitta da problemi e pregiudizi: «E con le istituzioni, stavolta, assenti». Come già avvenuto per le stragi di mafia con le vedove dei poliziotti che scortavano Falcone, sono state le donne a esporsi: a Catania Marisa Grasso e la figlia Fabiana, venerdì Antonella e la fidanzata di Ciro, Simona. Con coraggio hanno inchiodato tutti alla responsabilità del domani. Perché quel «qualcosa di diverso» non è poi così straordinario: educare i ragazzi, fare dello sport materia di studio e formazione, dare l’esempio sono le uniche tracce possibili da cui ripartire. Catania e Scampia come due giorni di scuola.