Hall of Fame, Carlo Verdone: "Nella commissione eravamo d'accordo su tutto. Garcia? Bronzetti mi aveva rassicurato sul suo valore"

15/06/2014 16:09

ASROMA.IT - Carlo Verdone è Carlo Verdone. Non ha bisogno di grandi presentazioni. Da più di trent’anni regala al cinema italiano commedie memorabili. Le battute dei suoi film sono entrate nel tessuto sociale della nostra à, diventando il chiacchiericcio quotidiano di tanti romani e non solo. È lui l’autore e il protagonista di capolavori come “Un sacco bello”, “Bianco rosso e Verdone”, “Borotalco”, “Compagni di scuola”, “Maledetto il giorno che t’ho incontrato”, “Al Lupo al lupo” e tanti altri. Oltre al cinema e alla musica, una sua passione è sempre stata la Roma. E in alcuni passaggi delle sue pellicole lo si nota chiaramente. Non a caso lo scorso anno una radio gli ha dedicato una trasmissione dal titolo “Giallo, rosso e Verdone”. E non a caso, quest’anno Verdone è stato nominato membro della commissione Hall of Fame 2014 insieme a Tonino Cagnucci, Massimo Fabbricini, Ruggiero Palombo e Andrea Purgatori. “È un riconoscimento che mi gratifica. Diciamo che me lo sono meritato, sono da sempre un grande tifoso”, dice ridendo.

Dove nasce il suo amore per la Roma?

“Sui banchi delle elementari, grazie a un mio compagno di scuola. Si chiamava Franco e aveva una grande capacità: era bravo a disegnare. Ci sapeva fare davvero. Pensate, quando dalla radiolina sapevamo i risultati delle partite, lui immaginava i gol rappresentandoli su carta. E in particolare, era bravissimo a riprodurre le maglie romaniste, cogliendo ogni dettaglio. E mi colpì molto, dato che io collezionavo figurine”.

Figurine di giocatori giallorossi?

“No, all’inizio mi soffermavo su squadre più strane, tipo Pro Patria o Lanerossi Vicenza. Ma poi un giorno successe che questo amico, Franco, mi disse: “Andiamo allo stadio”. E così mio padre ci accompagnò all’Olimpico. Fu un contagio straordinario”.

Che partita era?

“Non la ricordo, ma era la Roma di Selmosson, Ghiggia, Da Costa, Panetti: una grande squadra. Io volevo anche essere diverso da mio fratello Luca, che collezionava materiale della di Sivori. Questo fino alle medie, poi anche lui diventò romanista”.

Da tifoso, qual è stata la sua Roma?

“Quella degli anni Ottanta senza ombra di dubbio. Con Falçao, Conti, Pruzzo e un grande presidente come Dino Viola. Un uomo all’antica, un ottimo industriale. Faceva fare bella figura alla società quando parlava con la stampa. Ma c’è stato pure un momento in cui ho seguito meno la squadra”.

Quando?

“Con Carlos Bianchi allenatore. Girava tutto per il verso contrario: gli acquisti erano sbagliati, la squadra giocava male e l’entusiasmo veniva meno. Non andavo più allo stadio. Sono tornato a frequentare l’Olimpico grazie a Zeman”.

E di che pensa?

“Ho una storia da raccontare sull’arrivo del mister a Roma. Ricordate quando fu annunciato dalla Società? In à aleggiava scetticismo, non tutti erano convinti della scelta fatta. Ma io fui rassicurato da Bronzetti a Milano”.

Bronzetti l’agente Fifa?

“Sì, lo incontrai per caso. E, parlando del più e del meno, mi chiese: “Ma perché a Roma fate tanto casino su ? Guardate che avete preso il miglior allenatore francese. quando lo incontra si mette le mani nei capelli perché non sa come affrontarlo. Tranquilli, sarà una pietra preziosa”. E aveva ragione. È stato l’uomo giusto al momento giusto. Ha indovinato tutto dal punto di vista tattico. È un tecnico preparato, ha un bel rapporto con i giocatori, ma allo stesso tempo è uno che si fa rispettare. Non è un “tatticaro”, cioè uno che specula sull’avversario, ma è uno che vuole vincere. In più, apprezzo parecchio anche la sua ironia”.

Un personaggio della storia romanista a cui è particolarmente legato?

“Ce ne sono tanti. L’anno dello scudetto del 2001 parlavano tutti di , Batistuta, ma ricordiamoci pure di Tommasi che in quel campionato fu incontenibile. Damiano è sempre stato una figura positiva, uno da cui i giovani dovrebbero trarre sempre ispirazione”.

Come è andata lo scorso 30 maggio quando vi siete riuniti a Trigoria con gli altri giurati della commissione Hall of Fame per stabilire i 20 giocatori da votare?

“Siamo stati bene, a nostro agio, coccolati. Eravamo d’accordo su tutto, non ci sono state divergenze, abbiamo deciso per il meglio”.

È vero che qualche mese fa ha incontrato Pallotta a Boston?

“Verissimo, è successo in Primavera. Nasce tutto da una lezione che dovevo tenere sul cinema italiano in un’università americana. Dato che non avevo mai visto Boston, decido di fermarmi qualche giorno in più con i miei figli Paolo e Giulia per visitarla. Poi, ad un certo momento, penso: “Ma a Boston c’è Pallotta…”. Così chiamo e gli chiedo se è possibile incontrarlo per conoscerlo di persona. Ed è stato possibile”.

E di che avete parlato?

“Di un po’ di tutto, ci siamo fatti una bella chiacchierata. Pallotta è stato carino nei miei confronti, sapeva pure che avevo da poco vinto l’oscar con “La grande bellezza” di Sorrentino”.

A proposito di cinema, in passato ha dichiarato che le piacerebbe realizzare un documentario sulla carriera di . È ancora di questa idea?

“Non ne ho mai parlato con nessuno, ma se un domani a lui venisse in mente di fare una cosa del genere e nel caso volesse avere un buon regista, io glielo faccio con molto piacere. Da romano a romano. E da romanista a romanista”.

 

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