23/11/2014 12:58
IL TEMPO (S. LIBURDI) - Unico imperativo per me sostenitore laziale: tifare Juve. Ma sì, quale sportività. Ieri era in gioco la sopravvivenza antiromanista. Non c’era altra soluzione e così, a malincuore, ho gioito al primo gol della Juve. Perché, lo ammetto, non c’è cosa più bella di vedere i romanisti vincere e poi soffrire (e rosicare) perché il distacco dalla Vecchia Signora non si accorcia mai. Inutile girarci intorno, non serviva fingere. Specie dopo che il pomeriggio sì era messo male con la vittoria dei cugini (che orrore chiamarli così) a Bergamo che li posizionava alla pari della Juve in testa alla classifica. Prima del match dell’Olimpico pensavo: se proprio noi li fermiamo, pensa domani quanti sorrisetti in redazione, quante pacche sulle spalle al bar, quanti grazie via sms da gente che non sentivo più da una vita.
Un inferno perché già è successo quando cercavo di evitarli e loro si moltiplicavano venendoti a cercare per dirti ancora «grazie» con quell’odiosa smorfia sulle labbra. No, no. Forza Juventus, sì l’ho urlato. Dalla prossima partita tornerò a tifare con tutte le forze per la nostra Lazio, ma ieri non ce l’ho fatta. È successo solo un’altra volta, il 5 maggio 2002 contro l’Inter: con Poborsky, anonimo giocatore ceco, che quel giorno sfoderò l’unica sua performance da campione realizzando una doppietta che per poco non faceva vincere lo scudetto ai parenti. Momenti terribili che non voglio più rivivere. Caro Luigi Bigiarelli, indimenticato fondatore della Podistica Lazio, caro Bob Lovati, caro Maestrelli, perdonatemi