26/08/2015 23:23
RETE SPORT - L'ex medico sociale della Roma, Mario Brozzi, torna a parlare di Kevin Strootman: “Colgo questa grande opportunità per fare un grande in bocca al lupo a Strootman. All’epoca, nella precedente intervista, non avevo sentenziato nulla, ho la qualità di essere molto vicino alle persone che soffrono. Era un consiglio spassionato ad una persona, in quel momento, in grande difficoltà. Certe pagine nella storia della medicina sono già scritte, e questa è stata una valutazione che ha preso un certo decorso, purtroppo per il ragazzo.”
“La natura da milioni di anni ha selezionato l’uomo di oggi, portandolo ad avere due crociati nel ginocchio. Quando tu ricostruisci un crociato, ovvero effettui un posizionamento isometrico, più ti avvicini all’angolo naturale, più l’intervento è riuscito. Rischio è di posizionarlo lento o corto. Il primo caso è meno pericoloso, nel secondo, il posizionamento risulta non isometrico e questo comporta che il ginocchio ha un deficit di estensione. Cambia completamente la biomeccanica della corsa, il ginocchio non è in grado di reggere questo nuovo carico e si manifesta quella che chiamiamo “Sindrome del ciclope“. E’ stata successivamente preso la decisione di una terapia conservativa: io non ero d’accordo ma sbagliano tutti. Sbagliai io in primis con Chivu, rimuovendo troppo presto la vite. Tornò in campo e si fratturò nuovamente”.
“Parlando della “sindrome del ciclope” in generale, questa sottintende ad un carico errato sul punto della cartilagine vista la posizione isometrica non idonea. Nel caso di Strootman, io ricomincerei da capo, nessuno deve avere paura di nulla. La parte più complessa attuale sarà lo stato della cartilagine, bisogna vedere se questi mesi di sovraccarico cartilagineo abbiano peggiorato la situazione. I tempi di recupero, in queste casistiche, sono da 4 ai 6 mesi. Recuperammo Emerson in 4 mesi e mezzo. Quando siamo fuori da queste tempistiche,vuole dire che qualcosa non è andato per il verso giusto o in sala operatoria o in fase riabilitativa. Non occorre mascherare l’evidenza ma correggere gli errori. Una terapia conservativa in questo caso non ha dato le risposte che i miei colleghi si aspettavano”.