21/10/2020 18:00
RADIO RADIO - In questi giorni è stato presentato al 'Festival del Cinema' di Roma "Mi chiamo Francesco Totti", docu-film sulla carriera dell'ex capitano della Roma. Torna a parlare Alex Infascelli, regista del lungometraggio in questi giorni nelle sale cinematografiche:
Come è nata l'idea del docu-film e come l'ha messa in piedi?
A onor del vero, devo dire che il progetto mi è stato proposto. Sono un regista cinematografico, più recentemente ho girato un documentario su Kubrick e magari per questo hanno pensato che fossi la persona adatta per raccontare un monumento come Francesco. Da subito ho capito che ci voleva un nuovo punto di vista: conosciamo il Totti calciatore, conosciamo anche il Totti mattatore e ironico, forse l'aspetto che mancava di più era quello di un Totti 'spirituale', connesso con aspetti più profondi del suo mestiere, che ci raccontasse anche il suo rapporto con Roma e con i tifosi, romani e romanisti. Diciamo che la cosa incredibile di questo film è che viviamo l'emozione di guardare dei materiali inediti assieme a Francesco, che li guarda per la prima volta e li commenta, reagisce così ai messaggi della sua vita passata. Del calcio giocato vediamo quello che da tifosi già conosciamo, ma dove ho potuto sono 'sceso in campo' con lui.
Per lei un modo di mettersi in gioco, con un 'monumento' come Totti era facile sbagliare...
L'errore era dietro l'angolo, ogni due secondi. Ma per me l'errore sarebbe stato non essere imprecisi, quanto tradire l'anima di Francesco. Soprattutto sono stato attento a costruire, come un sarto, un vestito che potesse stargli a pennello.
Come è parso a lei Totti, visto da vicino?
Forse sono entrato dalla porta giusta, forse per il fatto che non sono un tifoso praticante (ho una famiglia romanista e lo sono anch'io, ma non ho vissuto a livello monumentale la figura di Francesco), l'ho visto subito come un bambino. E come quando si gioca da bambini non ci siamo preoccupati dell'immagine che davamo, abbiamo iniziato a fare qualcosa. E questo qualcosa è questo film che Francesco mi ha permesso di fare. Mi ha insegnato che il gioco è una cosa serissima. Ci dimentichiamo di giocare, crescendo ci convinciamo che è qualcosa che non serve più ma è una chiave di lettura importante dei rapporti e della vita.
Le ha detto qualcosa di Spalletti?
Quando ci siamo visti mi ha chiesto "vuoi metterci anche Spalletti nel film?". Gli ho risposto che era l'antagonista necessario per un eroe. Antagonista, perché per me i cattivi non esistono. Ha capito che era un'esigenza narrativa, ha fatto una pausa di qualche secondo e ha detto "Va bene...".
La sua reazione quando ha visto il suo lavoro finito?
Abbiamo avuto uno stop dovuto al lockdown, avrei voluto farglielo vedere prima di giugno, della prima volta che abbiamo visto insieme il film. Lo abbiamo visto a casa sua, con un gruppo ristretto di familiari. Alla fine del film, quando ancora scorrevano i titoli di coda, nel buio ha detto: "Aho, hai fatto piagne anche lei! Che non ha pianto nemmeno all'addio!", riferendosi ad Ilary. Effettivamente erano tutti commossi, questo mi ha fatto capire che il 'vestito' era comodo a tutti. La reazione dei figli? Hanno visto il padre come un bambino, hanno messo a fuoco bene chi è loro padre, ma come essere umano, non rispetto al calcio.