30/12/2008 18:26
La Roma ha le potenzialità per arrivare alla finale dell'Olimpico?
«Ce le ha. La Champions è una storia molto molto diversa dal campionato. Bisogna farsi trovare pronti, in forma e soprattutto non avere problemi di infortuni come è accaduto ad inizio stagione. Penso che se la possa giocare con tutte le altre. Il problema è che sono due partite secche, è tremendo, non ti permette di recuperare. Basta sbagliare un tempo di queste due partite che comprometti tutto. Per la vittoria finale vedo favorite le italiane, le inglesi e come alternativa il Barcellona cui Guardiola ha dato quel qualcosa in più che mancava. Gli spagnoli sono una formazione concreta e giocano bene. Ma la Roma ha tutte le chanche per giocarsela. Sarebbe bello perché c'è questo appuntamento con la finale in casa, speriamo con un esito completamente diverso da quello che è stato il mio».
L'Arsenal che squadra è?
«Ha grande entusiasmo, un ottimo allenatore, una squadra piena zeppa di giovani di grande prospettiva e di grande personalità. Una squadra importante, che lo scorso anno fino a 5 minuti dalla fine stava per fare fuori il Liverpool dalle semifinali. Una squadra di tutto rispetto. Certo però mancherà Fabregas che secondo me è l'uomo più importante e già un grande campione nonostante la sua giovane età».
L'aspetto migliore dei gunners?
«E' il collettivo, condito da delle ottime individualità. Giocano sempre palla a terra e tentano sempre di fare la partita».
Sorteggio sfortunato per la Roma oppure no?
«I sorteggi purtroppo ci devono stare, se pensiamo che oltre ad Arsenal-Roma c'è anche Manchester-Inter... Forse era meglio se capitava qualche altra squadra, ma se vuoi arrivare fino alla fine attraverso queste grandi sfide ci devi passare. E se le superi ti rendono ancora più sicuro delle tue qualità e metti timore agli avversari succesivi. Sulla carta alle italiane non è andata un granché bene, ma le mie favorite per la vittoria finale le ho già dette».
Torniamo a 25 anni fa, a quella finale persa. Voi la sentivate la tensione che saliva giorno dopo giorno?
«Noi quell'anno la pressione non l'abbiamo sentita fino a quando non mancavano 3 o 4 giorni. Ovvero fino a quando siamo tornati dal ritiro sulle Dolomiti. Però durante l'anno, dalla prima di campionato e dal primo turno di Coppa, c'era il pensiero a questa bella possibilità. Sapevamo pure che sarebbe stato difficile anche perché allora già dal primo turno erano partite da dentro o fuori. Secondo me la Roma di oggi ha alcuni vantaggi rispetto a noi».
Quali?
«Intanto la fase a gironi che ti permette di recuperare anche se non parti bene. E poi i giallorossi hanno molta più esperienza e molte più partite di Champions sulle spalle rispetto a noi. Per noi era la prima volta. Sì, avevamo giocato in Coppa Uefa e Coppa Coppe, ma era un'altra cosa. I giocatori della Roma hanno vinto a Lione, hanno battuto il Real Madrid, insomma hanno un'esperienza diversa».
Voi quindi la tensione la sentiste solo nei giorni immediatamente precedenti la finale?
«Sì. La differenza tra noi e loro fu evidente quando arrivammo allo stadio per la partita. Loro negli anni precedenti avevano già vinto tre volte la Coppa quasi con lo stesso organico. Erano supercollaudati mentre noi ci affacciavamo per la prima volta ad un palcoscenico così importante. Negli spogliatoi cantavano e ballavano, noi invece eravamo abbastanza tesi».
Quel famoso ritiro in montagna fece bene o male.
«Ognuno dà le sue spiegazioni alla sconfitta. C'è chi dice che era meglio non giocare in casa, c'è chi parla di Falcao che non ha tirato il rigore... Quando si perde si cercano delle attenuanti. Io penso che si incontarono due grandi squadre e che noi facemmo quello che potevamo fare. Detto questo quella fu una partita segnata dall'inizio».
In che senso?
«Beh, intanto c'era da annullare il gol del Liverpool per un fallo su di me, e poi una serie di carambole incredibili, Pruzzo che ebbe una colica, Cerezo che ebbe i crampi. Ed erano entrambi rigoristi. E ancora l'assenza di Maldera che convinse Liedholm a spostare tutte le pedine della difesa... Insomma ci sono state tante cose che hanno portato a quel risultato».
Quel gol era e resta fallo.
«Una volta Eriksson invitò tutti gli arbitri svedesi a Trigoria. C'era anche quello di quella finale, Fredriksson. Io gli chiesi di quel fallo e pare che lui rispose che aveva dato una specie di regola del vantaggio... non so bene che cosa».
Quel 30 maggio Tancredi aveva 29 anni, continuò fino ai 35. Smise abbastanza presto.
«Per i portieri dipende molto anche dalle motivazioni, dall'aspetto psicologico. Nel mio caso ad esempio, potevo ancora continuare a giocare, ma in testa mi si era spento qualcosa e non c'erano più quelle motivazioni per rimanere ad alti livelli. Dopo aver fatto una grande carriera continuare per 3-4 anni solo per farti ridere dietro nei campi di categorie inferiori non mi sembrava opportuno. A 35 anni ho capito che non ero più il Tancredi di una volta ho chiuso».
Come mai le carriere dei portieri oggi durano più a lungo?
«Merito dell'alimentazione, della preparazione specifica, perché tutti ora hanno un preparatore dei portieri, una figura che prima non esisteva. E poi ci si cura di più e questo può far sì che chi ha una grande forza pisicologica possa arrivare a giocare fino ad età avanzata».
Di Doni cosa ne pensa.
«Mi ha veramente sorpreso perché fino a 3 anni fa non lo conoscevo, mi sembra che stia facendo delle grandi cose, la Roma può stare tranquilla per parecchio tempo».
Torniamo alla Champions. Ancelotti a più riprese ha detto che la Roma quest'anno si può prendere la rivincita del 1984.
«Io me lo auguro con tutto il cuore, sarei la persona più felice del mondo se si potesse avere questa rivincita. Sarebbe bello, sarebbe eccezionale, anche per cancellare dalla memoria di tutti noi quel ricordo. Auguro alla Roma di arrivare e di avere un risultato completamente di verso da quello che abbiamo avuto noi».