Hai qualche scaramanzia particolare?
"No, nessuna in particolare. Magari metto prima il parastinco destro, dove c'è il nome della mia compagna, e poi quello sinistro ma nient'altro".
Fonseca vuole difesa alta e pressing?
"Sì, la vivevo anche all'Atalanta ma in maniera diversa. L'intensità negli allenamenti è simile, il modulo e il modo in cui si va a prendere gli avversari sono diversi. Le idee del mister mi entusiasmano e mi piacciono perché nel calcio di oggi l'intensità è padrona".
Contro Lukaku come ti comporteresti?
"Non gli do il corpo, è forte fisicamente. Lo tengo a distanza e cerco di rubargli il tempo, magari sul primo controllo. Poi ci sono segreti che si tengono tra noi".
I più difficili da marcare sono i piccolini? Con loro come ci si comporta?
"Devi partire tutta la settimana con la concentrazione alta. Pensare durante gli allenamenti che i tuoi compagni di squadra siano uno di loro. Poi la partita un difensore devi avere una concentrazione altissima perché se ti partono via sono difficili da recuperare. Se posso scegliere è meglio uno un po' più grosso perché sulle palle alte me la vado a giocare. Quelli un po' più piccolini sono un po' più fastidiosi".
Ci racconti il centro sportivo di Trigoria?
"Al piano superiore ci sono le nostre stanze, ci restiamo quando siamo in ritiro o quando torniamo molto tardi dalle trasferte europee".
Quanto tempo passate in camera?
"Molto tempo. Quando giochiamo in casa ci alleniamo, pranziamo, abbiamo qualche ora libera e poi torniamo per cena. Poi qui abbiamo tutto: televisori, Playstation, libri."
Cosa leggi?
"Libri su come comportarsi con le persone perché sono un tipo un po' istintivo. Non leggo i giornali, non sono un tipo social. Sono molto timido e non amo fare interviste".
"Da qualche parte ho letto che Roma è l'unico posto in cui se ti perdi sei contento perché scopri sempre cose nuove. Ed è così, ci sono venuto una volta 5 anni fa con la mia compagna e adesso viverci è qualcosa di unico. Per la città e per la gente. È tutto molto bello. Roma è la Roma: per il nome, i colori. Per i calciatori che sono passati qua come Totti e De Rossi. Per uno come me che ha sempre vissuto tanto il calcio è qualcosa di unico".
Si sente il senso di appartenenza per questa maglia?
"Certo, il senso di appartenenza è grande e noi giocatori dobbiamo dimostrarlo. Quando la domenica vai in campo con quella maglia devi fare risultato e dare il massimo per fare bene. La pressione ci deve essere ma deve essere positiva. Il salto è stato grande perché Bergamo è una bellissima realtà ma è un po' più piccola e questo lo sto avvertendo ma la vivo serenamente".
Dalle giovanili della Fiorentina ad oggi: è cambiato il tuo modo di approcciare alla partita?
"Totalmente. Da professionista sono un'altra persona, a quei tempi la vivevi in maniera tranquilla sempre con l'obiettivo di arrivare. C'era l'impostazione ma fino a quando non sono arrivato a Bergamo non l'avevo capita bene. Dopo i primi mesi in Serie A ho capito che devi cambiare totalmente. Oggi vivo per il calcio, sono un professionista: mangiare bene, dormire, fare i lavori preventivi. Faccio tutto quello che serve per questo sport".
La prima convocazione con la Nazionale?
"Ero in Under 21 e mister Di Biagio mi ha detto che mi voleva Mancini. Sono andato fuori di testa. Ho chiamato subito i miei genitori e la mia compagna. Quasi non ci credevo. Sono andato 4-5 giorni in Nazionale e ritrovarsi Chiellini, Bonucci, Verratti e Florenzi, che all'epoca ancora non conoscevo: avevo accanto gente per cui io tifavo con i miei amici. Poi ad un tratto mi sono ritrovato lì. Quando ero a Firenze andavo in prima squadra e qualcuno mi prendeva in giro perché pensavano fossi il figlio di Mancini. E infatti il mister mi ha fatto una battuta la prima volta".
Cosa ti ha detto?
"Ti chiami come me, devi portare in alto il nostro cognome".