07/06/2017 18:10
LAROMA24.IT (Mirko Bussi) – C’è un momento in cui a tutti è concesso di scrivere il proprio futuro a piacimento. Nel meraviglioso e continuo ciclo del calcio questo cade tra giugno e agosto, quando a muovere le classifiche sono i sogni e non le risultanze del campo. D’estate, per esempio, s’è compiuto il sogno ancestrale, la nascita della Roma, e come per incantesimo ogni intermezzo tra una stagione e l’altra viene accompagnata da nuove e più vivide speranze. A dar corpo ai desideri poi c’è l’arrivo di nuovi giocatori, così chiedendo in giro per Roma cosa accadde oggi di 30 anni fa, difficilmente qualcuno vi racconterà della visita di Reagan nella capitale, oppure delle imminenti elezioni politiche. Perché quel giorno sbarcò Voeller Rudolf da Hanau, la città dei fratelli Grimm (ci risiamo con le favole…).
Pochi ne conoscevano effettivamente le movenze in tempi in cui la Bundesliga era difficilmente accessibile ma i racconti dei 22 gol nell’anno precedente erano sufficienti ad incendiare ogni speranza accesa e radunarsi in centinaia per accoglierlo all’aeroporto. Eccolo: capello da “Zia Kathy”, come lo aveva ribattezzato Thomas Berthold per quella acconciatura più consona alle signore di Francoforte, baffo in linea con le tendenze del tempo, fisico asciutto che gli aveva procurato il soprannome di “grissino” in Germania. Sarebbe dovuto essere il colpo per Eriksson, fu, in sostanza, il regalo posticipato per Liedholm che già al Milan ne domandò l’acquisto. A curare la parte finale della trattativa Ettore Viola, per conto del Presidente Dino che per accogliere Voeller aveva sfilato la casacca dello straniero (all’epoca limitati) dal danese Berggreen, accusato in un comunicato ufficiale di “quella mancanza di affiatamento nel collettivo della squadra che tanti guasti ha procurato nella stagione”. 30 anni fa, sì, i giocatori venivano ancora presi per il bavero dai papà presidenti.
Alla fine, Berggreen andò al Torino per l’ultima tappa italiana e Voeller scoprì l’altra faccia di Roma, che dimenticò in fretta l’innamoramento estivo per gridare al ladro pochi mesi dopo quando per contare i gol del tedesco bastava meno di una mano, 3 dita esattamente. L’infortunio non bastò a salvarlo dal fuoco delle critiche e così l’ex Werder Brema era pronto a fare marcia indietro. “Sono tedesco e vorrei sempre dare il massimo, vi capisco se non siete soddisfatti e non voglio togliere il posto a un altro straniero” il discorso al Presidente Viola che, per conto suo, gli rinfilò la maglia giallorossa con queste parole: “No, lei rimane, ho sempre creduto nelle sue capacità”. Credeva bene: Voeller aprì le ali e toccò le 15 reti stagionali l’anno seguente, 16 nel successivo e 25 nel 1990/91 quando guidò la Roma alla conquista della Coppa Italia e della finale di Coppa Uefa. Era ormai il tedesco volante, centravanti post-moderno che aveva nella finalizzazione uno dei suoi accessori, unita però ad una mobilità e presenza all’interno del contesto di squadra quasi sconosciuta per l’epoca. A tratti, anzi, Voeller finì per essere la squadra. Tanto che, alcuni, raccontano di azioni in cui recuperasse in prima persona il pallone, per poi lanciarselo in fascia dove lui stesso si occupava del cross prima di spostarsi rapidamente al centro dell’area per colpirlo di testa. “…La curva s’innamora” al punto che nei Mondiali del 1990 che consegneranno il titolo alla sua Germania, Rudi è uno di casa con la spinta del tifo romanista.
Saluterà dopo 68 gol in 198 partite, un dato che lo mette solo dietro a Balbo tra gli stranieri con più reti nella Roma, per trasferirsi al Marsiglia dove alzerà la Coppa dei Campioni oltre al campionato francese. Prima di finire nella “Hall of fame” del club s’era già assicurato un posto in quella dei tifosi romanisti, che non hanno scalfito il ricordo mitologico del tedesco volante nemmeno dopo la fallimentare parentesi da allenatore nel 2004, quando venne “per aiutare degli amici”, come spiegò all’arrivo. Tornò, ma da avversario col Leverkusen, nel novembre del 2015, 28 anni dopo, a 10377 giorni dal suo primo sbarco nella capitale. Anche quel giorno, nonostante i cambi generazionali, s’alzò perentorio il coro “Vola, sotto la Curva vola, la Curva s’innamora, tedesco vola…”. Ma com’è possibile? Risponde direttamente Rudi Voeller: “Roma non cambia mai, era così anche nel 1987, quasi trent’anni fa (nel 2015, ndr): vive con il grande cuore dei tifosi”.