23/05/2015 18:50
LAROMA24.IT (Federico Baranello) - “La Roma vince il primo derby: Roma +3,25%, Lazio +0,89%. Questo il primo verdetto del mercato azionario nel giorno d’esordio del club giallorosso, agitato e sofferto come ogni Derby che si rispetti“. Così commenta il quotidiano “La Stampa” all’indomani del debutto del titolo As Roma a Piazza Affari, avvenuto il 23 maggio del 2000.
Il collocamento di 13 milioni di azioni, corrispondenti al 29% del capitale sociale del club in mano al presidente Franco Sensi, ha registrato un buon risultato con una richiesta di 45 milioni di azioni, 3,5 volte il quantitativo offerto. Il prezzo di ogni azione fissato a 5,5 euro. Da questo momento i tifosi possono diventare anche azionisti, partecipare all’assemblea e avere diritto di voto ma, ovviamente, con poche possibilità di indirizzare le decisioni societarie. Questa non è la prima volta che i tifosi della Roma hanno questa possibilità. Nei primi anni ’50 il Presidente Renato Sacerdoti offre l’opportunità di sottoscrivere un abbonamento di due anni e pagarlo con 15 rate mensili. Una volta pagata l’ultima rata si diventava “Soci Vitalizi Sostenitori”, con diritto di voto in assemblea ma con anche la possibilità di poter frequentare la sede sociale.
La Roma è la seconda squadra Italiana ad essere quotata in Borsa, la prima fu la Lazio nel 1998. Seguirà poi la Juventus nel 2001. Tutte e tre le operazioni di quotazione hanno come protagonisti principali i piccoli investitori privati, tipicamente i sostenitori delle squadre, piuttosto che gli investitori istituzionali i quali considerano tale investimento troppo volatile.
L’investimento in titoli di squadre di calcio presenta, infatti, caratteristiche atipiche di rischio non confrontabili con altri investimenti azionari. La campagna cessione e acquisti con i suoi rumors, i cambiamenti di allenatori, infortuni e squalifiche influiscono in modo importante sul titolo, sia in senso negativo sia in senso positivo con effimeri rialzi. Del resto i risultati sportivi sono aleatori per loro stessa natura; essi possono dipendere dallo stato psico-fisico dei calciatori, dal loro livello tecnico, dalla capacità di “fare squadra” ma anche da decisioni errate dell’arbitro o, come è già accaduto anche recentemente, da fenomeni tipo “Calciopoli” che hanno finito per penalizzare delle società per l’operato illecito di giocatori e dirigenti.
Dal punto di vista del tifoso l’operazione è stata un successo: l’anno dopo la quotazione si è vinto lo scudetto (stessa cosa capitata sia per la Lazio sia per la Juventus). Dal punto di vista dell’investitore una “tragedia”. Nei primi mesi il titolo perde subito molto valore e dopo 19 mesi dalla quotazione segna un -47% circa. Il 31 dicembre del 2002 il titolo perde circa il 78% dalla data di prima quotazione. Ad oggi siamo a -85% circa.
Storicamente i club anglosassoni sono pionieri sia a livello di calcio giocato sia nella gestione societaria, prova ne è la prima quotazione in borsa da parte di un club calcistico: il Tottenham nel 1983. Sei anni dopo è la volta del Millwall a fare il suo ingresso alla London Stock Exchange seguito dal Manchester United nel 1991. Nel 1997 sono 21 le squadre inglesi quotate alla borsa di Londra. Attualmente le società di calcio quotate in borsa sono poco più di 30 in tutto il mondo, di cui più della metà alla London Stock Exchange.
Quando nel maggio del 1998 la Lazio è in procinto di essere quotata in borsa Victor Uckmar, all’epoca presidente della Covisoc (organo di controllo sui conti dei club) disse che «Ai risparmiatori va fatta un'avvertenza: i titoli legati al calcio sono sconsigliati agli orfani ed alle vedove».
A rimarcare il “pericolo” è intervenuta anche l’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato (AGCM) che tra il 2005 e il 2006 afferma che ai vantaggi “classici” derivanti da una quotazione in borsa delle società di calcio vi sono “svantaggi correlati proprio alla volatilità del titolo, posto che i ricavi societari sono eccessivamente concentrati sulle entrate da diritti televisivi. In tale contesto, infatti l’andamento del titolo rischia di essere particolarmente correlato ai soli risultati sportivi conseguiti dalla squadra della società quotata”. Aggiunge poi che “I titoli delle società di calcio sono spesso considerati dal mercato e dagli analisti come titoli puramente speculativi, ossia da non detenere al fine di beneficiare di una distribuzione di dividendi, ma sui quali scommettere per operazioni sulle oscillazioni dei prezzi”.