29/01/2017 00:22
LAROMA24.IT (Federico Baranello) - Più volte da queste pagine abbiamo ribadito come la storia della A.S. Roma non è certo una storia costellata di trionfi e di coppe alzate al cielo. Piuttosto è un susseguirsi e un continuo intrecciarsi di vicende sportive e umane, talvolta davvero memorabili, altre struggenti e drammatiche. Quella di Carlo Petrini, detto Pedro, è addirittura d’ispirazione per una rappresentazione teatrale. Il tutto partendo da un “gesto”.
È il 14 dicembre 1975 e all’Olimpico va in scena Roma-Sampdoria, una partita importante per la zona bassa della classifica, in un periodo “dai colori netti, identitari… quando il rosso delle bandiere era il rosso schietto, non testato, del sugo fatto in casa, e il giallo era quello chiaro dei girasoli”. Durante la partita Petrini ha più volte la palla buona per portare la compagine giallorossa in vantaggio. Ma nulla, oggi sembra proprio non riuscirci. Sembra afflitto da una sorta di allergia al gol. Dagli spalti qualche mormorio di disappunto comincia ad alzarsi. Cordova gli serve una gran bella palla, sembra davvero la volta buona per il centravanti giallorosso. Pedro si libera di Zecchini e invece di cercare una giocata semplice spara forte. Spara alto. Troppo. “All’urlo di rabbia della folla, Petrini ha replicato chiedendo scusa con ampi gesti delle braccia e anche inchinandosi come un bambino cattivo che accetta i giusti rimproveri promettendo di non farlo più. I 40 mila dell’Olimpico hanno afferrato al volo il piccolo dramma che stava vivendo il sostituto di Prati. Dalla curva nord alla Sud, dalla tribuna Tevere alla Monte Mario si è levato un coro assordante in cui veniva scandito il nome del giocatore. Era il calore di una solidarietà nata spontaneamente, che ha avuto l’effetto di una scintilla nell’animo dell’attaccante” (Cit. Stampa Sera, 15 dicembre 1975).
Partendo da questo gesto l’attore e drammaturgo Giuseppe Manfridi, romano “ma romanista de più”, dedica all’odissea umana del calciatore Carlo Petrini un monologo magistralmente interpretato. È il sesto atto di un progetto, Dieci Partite, nato da un’idea di Daniele Lo Monaco e in cartellone sino al 5 Febbraio al Teatro dell’Angelo.
In questo atto Manfridi è contestualmente il narratore e l’attore. È la voce di Pedro. È Pedro. Studiato nei minimi particolari, nelle movenze, nella voce. “Ho indagato e studiato anche il suo modo di fumare. Poi mi sono soffermato a capire la modalità del suo respiro”, ci rivela Manfridi la sera della Prima, “un percorso per arrivare alla caratterizzazione del personaggio. Un viaggio iniziato dallo studio dove solitamente scrivo e dove le idee prendono forma. Un viaggio che arriva sino al palco del Teatro”.
In questo caso specifico è il viaggio di un uomo diventato calciatore. Un calciatore ricco e piacente che ha creduto di poter sfidare tutto e tutti, attraverso gli eccessi di una vita fatta di soldi, donne, auto di lusso, farmaci, calcioscommesse, procure, magistrati e usurai. Poi la fuga all’estero per paura di essere ucciso da quello stesso mondo che aveva contribuito ad alimentare. Una fuga dai familiari. La vigliacca assenza nel momento della morte del figlio Diego che pure lo implorava di poterlo rivedere almeno una volta prima di morire: “Quel figlio che oggi è rimasto dentro di me come un coltello piantato” (Cit. Nel fango del dio pallone, Carlo Petrini). Sino alla redenzione e conversione addirittura morale e letteraria.
“Crollo e rinascita fanno parte della vita di ognuno di noi…”, ci racconta Manfridi nel suo camerino, “…in modo diverso certo, in modo più o meno eclatante. Si tenta di correre dietro alla prima parte della vita che vorremmo cambiare, modificare. Ciò non è possibile, chiaramente, e questo crea sofferenza. Disperazione vera e propria”. Questa è la sofferenza di Pedro.
Tutto ciò viene condensato in 75 minuti di monologo intensi, a ritmi sostenuti. L’angoscia di Pedro arriva, arriva sulle poltroncine e ti avvolge. Ti cattura. Un’angoscia intensa, profonda. Uno spettacolo importante, di denuncia, proprio come lo vorrebbe Pedro, che forse il 14 dicembre 1975 stava già chiedendo scusa per tutto ciò che sarebbe stato successivamente.
Ora un passo indietro. Tre minuti dopo quel gesto che ha ispirato la rappresentazione teatrale, Cordova confeziona un preciso cross per Pedro che, una volta sulla traiettoria della palla, scarica un violento destro in rete. La Roma guadagna quindi i due punti in palio. A fine anno si salverà proprio per due punti. Che siano proprio questi i due punti salvezza? “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”.