23/07/2017 17:43
"Some say it's just a part of it", un Bob Marley di dylaniana memoria, voce e chitarra in libertà, assenza di tracce della sua amata musica reggae.Qualcuno dice che è solo una parte, forse lo è anche in questo caso.Sicuramente le fazioni son fine a loro stesse, dividendo ulteriormente qualcosa che già di suo è frammentato e spezzettato, reso debole dalla difficoltà recondita nell'accettare un pensiero diverso dal proprio.
Ci si è già schierati sull'arrivo del laterale serbo, son scudi levati al cielo per difendere il proprio orticello virtuale in nome di qualcosa di ben più grande: come se non ci fosse un bene comune che, in barba alle diversità avrebbe il compito di colmare ogni distanza.
Si son consumati paragoni fortemente arditi, accomunando il mancino di Belgrado con chi ha fatto volare al cielo tappi di sughero nel momento in cui Kennedy gonfiava la rete.
Sarà pure un ex biancoceleste, avrà anche dichiarato più volte il suo "amore" per quei colori (come d'altronde i tanti calciatori passati sotto ai nostri occhi che han baciato maglie, e ora giocano da un'altra parte), ma difficile trovare anelli di congiunzione tra Aleksandar Kolarov e Lionello Manfredonia. Se proprio vogliamo trovare un tratto comune, c'è una data: il 10 novembre del 1985. Mentre a Belgrado vedeva per la prima volta la luce il futuro terzino della nazionale serba, la Roma era impegnata al Comunale di Torino contro la Juventus. Un'autentica invasione giallorossa in Piemonte condita da un memorabile e lunghissimo striscione passato allo storia, dito puntato contro i presunti favori ricevuti giorni prima dai bianconeri. Il famoso Juventus-Roma dell'aggressione al presidente Dino Viola, di due sostenitori romanisti rei di un'invasione di campo armati di un coniglio tinto di bianco e di nero, posto al centro del campo prima del repentino intervento delle forze dell'ordine.
Storie di un calcio passato, di rivalità che con il tempo si stanno acuendo a fronte di un modo di intendere e vivere il pallone più razionale e meno infantile, se per infantile possiamo intendere l'approccio tipico di un'età fatta di innocenza e scarsa propensione a mitigare le proprie posizioni.
Meglio o peggio che sia, questo è.
E allora è normale imbattersi in tifosi della Roma a cui nulla importa del passato del forte terzino, né tanto meno di quel "mai alla Roma" facilmente reperibile sulle colonne virtuali dell'archivio de Il Corriere dello Sport. Ed è altrettanto normale trovarsi al cospetto di chi non gradirà il suo arrivo, reo di aver indossato quei colori, di aver segnato alla Roma, festeggiato a Formello l'eliminazione dalla Champions per mano del City. Tutto nella norma, se non fosse per l'evidente difficoltà nell'accettare il pensiero opposto, innalzandosi entrambe le fazioni a donatrici di patenti di tifo che stonano con l'idea stessa di tifo inclusivo, simbolo di un'aggregazione che forse vive soltanto negli occhi e nelle speranze di chi scrive.
Un canto di redenzione, magari una rete nel derby.
A questo piacerebbe assistere, perché almeno "quando è gol" ci si unisce tutti in barba ad ogni divisione.
Ah, vi chiederete di quel 10 novembre 1985: basta leggere la distinta ufficiale e spiccherà tra le fila juventine quel nome che, inopportunamente, è stato tirato fuori a più riprese.
Gianvittorio De Gennaro - 'In The Box' per LR24