06/05/2019 18:03
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Alzi la mano chi pensava che ingaggiare Antonio Conte fosse semplice. Fino a quaranta giorni fa a chi ipotizzava la fattibilità di una simile operazione (come in questa rubrica), consigliavano un trattamento sanitario obbligatorio. “Conte alla Roma? Fatti vedere da uno bravo”. Poi sono arrivate le conferme: la Roma vuole Conte, la Roma contatta Conte. E all’improvviso, da inizio maggio, se Conte non arriva, la Roma non vale un euro. “Ma come? Nei supermercati hanno iniziato a vendere le fragole e ancora non lo hanno annunciato?”. Annuncio che per molti obbligatoriamente dovrebbe arrivare subito dopo ogni sconfitta della squadra. Fino a un mese e mezzo fa, dopo rovinose cadute contro chiunque, c’era chi difendeva oltre ogni logica il predecessore di Ranieri.
Oggi al pareggio di Romero c’è una voglia insana di certificare che con l’ex tecnico la media punti fosse superiore a quella attuale (per screditare il mai digerito Ranieri) e una smania di avere novità sul fronte Conte, che rende ogni minuto che passa fastidiosissima una trattativa che quantomeno, in un mare di mediocrità conclamata in questa stagione suicida, dovrebbe rappresentare un segnale nuovo, finalmente di livello, inedito: la Roma ha capito che in panchina non bastano presunti fenomeni reduci da stagioni altalenanti in provincia, che a posteriori vengono rispolverati dagli oltranzisti tipo riabilitazione der Patata (avete presente Compagni di scuola?). La Roma ha capito che in panchina come in giro per Trigoria, davanti alle telecamere come nelle riunioni in società, serve un Antonio Conte. Vivaddio.
Peccato però che una trattativa così complicata non sia accompagnata da una sana attesa fatta di fiducia, speranza ed equilibrio. “Ancora non lo avemo preso? E te pareva”. Fastidio. Rash cutanei. A eccezione di sparuti casi, nessuno ha mai annunciato un allenatore a inizio maggio (solo il Bayern ha questa abitudine). Quindi, per inteso, quale dannato ultimatum avrebbe dato la Roma ad Antonio Conte? “Se non dice sì entro il primo maggio la Roma lo molla”. Certo, fino al primo maggio c’è spazio per lui, oltre no. Immaginate la scena: Conte chiama Pallotta il due mattina, Pallotta lo liquida: “Mi spiace, fino a ieri ti avremmo fatto ponti d’oro, ora non ci interessi più, è scaduto l’ultimatum”. Delirio. Misteri del calciomercato. O delle dicerie.
Conte alla Roma non era un’idea da TSO quaranta giorni fa. Così come non può essere oggi motivo di rivalsa nei confronti del club se non dovesse arrivare. Certo, se non venisse per sposare il progetto (?) Inter sarebbe lecito restarci male, ma se tornasse alla Juventus o andasse a Parigi, quale sarebbe l’accusa schiacciante per un club che di difetti ne ha tanti, alcuni addirittura li ha ostentati (tipo la difesa a oltranza di allenatori non all’altezza, sempre quelli della riabilitazione der Patata, sempre quelli delle medie punti, dei passaggi riusciti, del possesso palla)? La Roma su Conte, è e deve continuare a essere la prova provata che c’è la volontà di cambiare finalmente corso.
Peccato che dalla fiducia, dall’attesa e dall’equilibrio si sia passati al fastidio, provocato da chi pretende risposte immediate. Fino a una settimana fa Conte aveva più amici di Maria De Filippi, tutti a cena con lui, decine di cene al giorno con decine di ex compagni di squadra pronti a giurare che avrebbe scelto la Roma. Poi basta mezzo trafiletto su un giornale del nord e apriti cielo. Ha scelto l’Inter, ha sposato la Juventus, preferirebbe persino il Bologna. Rigurgito di rabbia figlia del fastidio: molti si meritano quelli delle medie punti, talmente elevate che la Roma mai in trentacinque giornate è stata fra le prime quattro.