05/07/2019 21:49
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Il più grande animale da palcoscenico del ventesimo secolo è stato il leader dei Queen. La sua entrata in scena, testa alta e passo cadenzato, valeva il prezzo del biglietto. La sua mimica facciale bucava le telecamere. La sua voce dava un senso all’udito. La musica magistralmente suonata dai suoi compagni era mero accompagnamento. Lui era tutto. Rubava occhio, scena, attenzione.
A Roma negli ultimi otto anni c’è stata la malsana abitudine di divinizzare i direttori sportivi. Sabatini prima, Monchi poi. Innanzitutto per contingenze. Sabatini da dirigente notoriamente “muto” dovette diventare one man show, prima suo malgrado, poi compiacendosi. Roma attendeva Baldini, che si presentava in ritardo e annoiato, in autunno inoltrato, per parlare di concetti astratti. All’inizio c’era, mai nei fatti non c’era, DiBenedetto. Sabatini faceva quindi il presidente, il direttore generale, direttore sportivo, il comunicatore, il direttore tecnico.
Poi venne Monchi. Con un curriculum grosso così. Con un palmares da copertina. Come il suo libro. Il metodo. Roma, già segnata dalle prime stagioni avare di soddisfazioni, pensava di essere prossima all’ingresso nel calcio che conta. Di Sabatini si narravano le gesta epiche, lo si considerava l’erede di Bukowski, ci si scapicollava per dire che dormiva mezz’ora a notte, in piedi, e che mentre dormiva fumava otto sigarette e mentre dormiva e fumava controllava i fusi orari dei cinque continenti attraverso i suoi quattro orologi da polso indossati contemporaneamente, il tutto mentre guardava dodici partite nello stesso momento. Di Monchi si mandavano a memoria gli slogan che ammaliavano gli astanti. Sappiamo come è andata. Monchi plenipotenziario ha fatto dieci volte peggio di Sabatini. Ma da entrambi ci si aspettava troppo di più soprattutto per come venivano romanzati. Accolti come semidei, salutati entrambi come due imbecilli, riabilitati (Sabatini) a distanza di tempo fino a essere rimpianti.
Petrachi arriva e non vuole rubare la scena. Non ama la ribalta, dice cose forti che scaturiranno titoli senza volere essere lui il protagonista dei titoli. Si sta giocando la carta più importante della carriera. Che si condividano o meno i concetti che ha espresso, dà la sensazione di non volere essere lui il cuore delle discussioni sulla Roma. Che deve essere ricostruita. A causa degli errori commessi negli ultimi due anni. Compito arduo. Al quale dovrà dedicarsi. Non gli si chieda di più. La Roma deve fare in modo di non farlo diventare il factotum del club. Perché Roma è troppo abituata a puntare i fari sui singoli. Deriva malsana che porta, in caso di crisi, a cercare capri espiatori e a salvare altri, che magari nei rispettivi ambiti hanno commesso errori altrettanto gravi, e ai quali fa anche comodo che ci sia sempre qualcuno da mandare al patibolo. Si faccia in modo che nessuna frase del nuovo diesse diventi una tendenza con cui riempirsi la bocca. Fra gatti maculati, soli sui tetti di Roma, vincere e non vendere e metodi, la città si è ubriacata di frasi forzate, ridondanti e banali. Si faccia in modo che Petrachi sia un membro del coro e non lo showman.
In the box - @augustociardi