09/03/2020 19:29
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Ricordate quando c’erano le pause di campionato causate dalle partite della Nazionale? Sembra passata un'era geologica. Ci avvicinavamo allo stop sperando che la Roma vincesse la partita prima della sosta, affinché non si dovessero passare due settimane nuotando tra le polemiche. Maledicevamo il calendario internazionale perché la Roma on fire non poteva dare continuità a un miniciclo di partite vincenti. Imprecavamo perché il weekend successivo avremmo dovuto scegliere tra Domenica in, la gita fuori porta e Italia-Armenia. Bei ricordi.
Il calcio al tempo del coronavirus è la nauseabonda danza menata da chi non si vuole assumere la responsabilità di decidere se fermare o meno il pallone. Si litiga in Lega. Si insulta tramite Instagram, si accusa in tv, si prendono decisioni a una manciata di minuti dall’inizio delle partite. I nuovi guru si chiamano Bernardeschi e Balotelli, che si espongono sui social. Mentre Klopp diventa l'uomo che dovrebbe prendere le redini del mondo nel momento più delicato (almeno) degli ultimi cinquanta anni. Il calcio si distingue, mostrando il peggio di sé. Il Governo accusa, ma chi gli va contro si aggrappa a un decreto che consente di giocare, a porte chiuse. Quelle porte che alcuni illuminati presidenti avrebbero voluto aprire, proprio nel momento in cui si prendeva, in altre stanze, l’epocale decisione di chiudere le scuole di ogni ordine e grado.
In questo oceano di bestialità, gli innamorati del calcio prendevano le distanze. Altro accadimento epocale. Chissà quando rivedremo la Roma. Giovedì c’è il Siviglia ma la situazione va monitorata giorno dopo giorno. Ora dopo ora. Vale la pena continuare, dopo avere perso la fiducia di chiunque? Ma, soprattutto, ci sono i presupposti per garantire le condizioni di sicurezza? Abbiamo preso confidenza col calcio a porte chiuse in una anomala domenica, distratti durante i poco avvincenti match di Milano e Udine dagli appelli dei vip a restare a casa. Apprendendo che in Italia per chiuderci fra quattro mura c’è bisogno dei selfie e dei video di cantanti e social star. Perché ci si fida poco delle istituzioni che hanno l’arduo e ingrato compito di prendere le misure a un’emergenza inedita, tra gaffe e difficoltà, nel tentativo di contrastare un nemico sconosciuto e invisibile. Il calcio si può fermare. La gente non smania. "In queste condizioni, meglio fermarsi" è la considerazione più in voga. Neanche Juventus-Inter distrae. C’è preoccupazione. E poco da scegliere. Centri commerciali svuotati. Pochi pranzi al mare. Pochissime gite fuori porta. Si sta in casa. E se il calcio non c’è, il tempo passa leggendo statistiche aggiornate sull’epidemia e seguendo aggiornamenti su social e tv.
Racconteremo alle generazioni future di avere superato l’epidemia che ha chiuso le strade, i locali, le palestre, il calcio, che ha mandato in tilt gli ospedali. Che rischia di aprire una crisi economica che può mettere in ginocchio il mondo. Lo racconteremo come i nonni e i bisnonni che ci raccontavano la guerra, i bombardamenti. Toccherà a noi creare la memoria di fatti che mai avremmo immaginato di vivere. Ometteremo, per pudore, di narrare le gesta di chi, a dieci minuti da Parma-Spal, non era ancora in grado di decidere se fare iniziare la partita.
In the box - @augustociardi