Navigare e non naufragare

06/12/2021 15:03

LR24 (AUGUSTO CIARDI) - 4 maggio, 4 dicembre. Sei mesi. Grosso modo un sesto della programmazione prevista dal contratto triennale di Mourinho con la Roma. Dallo stupore generale all'entusiasmo più sano, dalla voglia matta di iniziare più che una stagione una nuova era, alla consapevolezza che allo stadio per quel poco che si vede si sarebbero rubati istanti alla partita per buttare l'occhio a bordo campo e osservare lui, nella sua area, davanti alla panchina, per convincersi che fosse davvero lui il nuovo ammiraglio.

Dall'inizio fatto soltanto di vittorie allo scivolone, prima o poi doveva succedere, di Verona, dal maledetto derby alle tormente causate in gran parte dalle nefandezze arbitrali, e poi l'emergenza, il campanello d'allarme in Norvegia a ricordare che gli scheletri che si pensava di avere chiuso a doppia mandata nell'armadio prima o poi tornano sempre, sotto forma di nuovo incubo, perché non sempre basta una grande mossa del presidente per volare a filo d'acqua senza intoppi. Quindi il riassetto tattico, e un'apparente ritrovata stabilità. E poi il black out di , che ha anticipato la passività di sabato pomeriggio, 4 dicembre, che si è chiuso col secondo tempo in cui l' si è allenata in vista della facendo il torello.

Sei mesi, più o meno centottanta giorni che provano a scalfire l'entusiasmo. Dell'amore di chi va allo stadio si sorprende chi non conosce la Roma. Il coro che fa il giro del mondo sui social si cantava pure più o meno trenta anni fa, quando le cose andavano ancora peggio, quando in panchina si alternavano Bianchi, Boskov e Mazzone e in campo provavano a sbarcare il lunario Stefano Pellegrini e Silvano Benedetti.

Poi c'è la classifica. I numeri di un campionato che necessita una svolta anche se si prende coscienza di limiti strutturali evidenti. Con l' si può perdere, ma non così. Bella forza, banale come concetto, per quanto realistico. Non si può perdere col in quel modo se hai già perso, pure per colpa degli arbitri, a Venezia, col Milan e con la . Ma stavolta gli arbitri non c'entrano. Il rischio è di calare il sipario sul torneo quando ancora non è finito uno dei peggiori anni solari degli ultimi tempi, iniziato con l'inerzia di una buona prima parte della scorsa stagione, che aveva permesso alla Roma di Fonseca di andare a vela fino a marzo, quando il vento è sparito e ha lasciato in mare aperto la squadra che sembrava una zattera in cerca di salvataggio.

Arriva Mourinho e pensi che se non proprio a bordo di uno yacht lussuoso, potrai solcare il mare in sicurezza. Invece la Roma imbarca acqua, ma non è affondata, perché l'armatore non è venuto in Italia per farsi vendere la fontana di Trevi come nel film di Totò, pur avendo rilevato una società in avaria. Poi però la vita impone di non potere dare sempre colpa a chi c'era prima. Accade in ogni ambito, persino ai sindaci delle città. Ti concede tempo per capire e conoscere la realtà in cui ti sei calato, ti riconosce attenuanti appena sali sul ponte di comando, ma ti responsabilizza.

La Roma ora più che mai ha la responsabilità di cambiare rotta. C'è l'ha Friedkin, ce l'ha Mourinho, perché è fisiologico aspettarsi tanto da uno come lui, e ce l'ha Tiago Pinto, che dovrà diventare protagonista a gennaio. Inutile girarci attorno, la sessione invernale del calciomercato dovrà parzialmente turare le falle che tre mesi e mezzo di Serie A hanno impietosamente evidenziato. La proprietà sta facendo sforzi che in pochi sarebbero stati in grado di sostenere. Iniezioni di soldi, tanti, ogni mese, per dimenticare gli scempi dell'ultimo biennio della gestione di quel che ora fa il grillo parlante, con quel cattivo gusto tipico degli ex presidenti che non si limitano a esprimere pareri, ma si sentono in diritto di suggerire come ci si deve comportare.

Velo pietoso. È inutile perdere tempo rimuginando sul passato. non c'è più, non c'è più, non c'è più nessuno dei precedenti allenatori. Ora c'è Friedkin, c'è Mourinho, e c'è Tiago Pinto. Le altre figure professionali in seno alla Roma, che da anni continua a essere un porto di mare fra dirigenti che vengono e che vanno, pur non essendo un contorno, non hanno incidenza vitale sul presente tecnico. A gennaio non arriveranno Kante, Benzema e , ovvio, ma sarebbe peccato mortale non ingegnarsi per migliorare la squadra. Che però non può avere eterni alibi determinati dalle lacune strutturali. Perché da questa squadra, da Zaniolo a Veretout, da Mkhitaryan a Mancini, e da questo allenatore, è lecito aspettarsi di più.

Che non fosse forte come le prime quattro era più o meno evidente. Che si crogioli nell'avaria sarebbe intollerabile. A inizio stagione mostrava un'identità nerboruta, solidità mentale e pragmatismo, poi via via ha iniziato a prevalere il nervosismo in campo che sabato ha lasciato il posto a un vuoto preoccupante. La Roma contro l' sembrava una squadra semi dilettantistica della cintura milanese chiamata per un'amichevole che serve agli avversari per affinare le armi in vista di una partita importante, e a cui si chiede di non affondare i colpi per evitare di fare male ai giocatori che si preparano a quella sfida. Tecnicamente molto inferiore all', colpevolmente troppo fuori dalla contesa. Una passività preoccupante. Se da una parte c'è la ferma convinzione che in panchina ci sia il miglior professionista possibile per riprendere la navigazione, dall'altra c'è la certezza che non si possa più perdere tempo. Poi, a gennaio dipenderà molto dalle disponibilità della proprietà e dalle capacità del general manager. Perché oltre a un campionato da raddrizzare, ci saranno due coppe su cui puntare. E i risultati, anche nelle coppe, fanno sempre la differenza. Snobbare le altre due competizioni è tutto ciò che non va fatto. Le grandi svolte spesso passano da lì.

In the box - @augustociardi