15/04/2023 15:00
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Dalla disperazione di chi guardando l'uscita dal campo di giovedì temeva che avesse terminato la stagione in quel momento, alla sorpresa del possibile recupero lampo. Tammy Abraham e le sue mimiche facciali, la sua gestualità. Generoso, a volte confusionario, emotivo, spesso (quest'anno poco) trascinatore. Un giocatore non si giudica dai particolari, ma dai numeri sì, se il giocatore è un attaccante, ancora di più. Quantomeno la singola stagione va giudicata in base ai numeri prodotti, non si campa di rendita.
L'inglese è meno al centro del mondo Roma nel 2022-23, non perché sia stato degradato o emarginato. Ma perché la Roma ha rafforzato sensibilmente la prima linea con Dybala, con un vice centravanti, poi con Solbakken, mollando in corsa gli orpelli Shomurodov e Zaniolo. E un calciatore se la concorrenza aumenta deve sentirsi stimolato e non mortificato. 6 gol fino a ora contro i 13 dello scorso anno, allo stesso punto del campionato. Però montano le discussioni: la Roma di Mourinho offre poche possibilità agli attaccanti per trovare la porta.
Può essere considerato un dato credibile se paragonato agli assist di squadre che hanno un sistema di gioco diverso, più coinvolgente e più corale in fase offensiva. Ma questa teoria viene smontata da un dato inconfutabile: lo scorso anno, 13 gol dopo 30 giornate, 17 a fine campionato, 27 totali comprendendo le coppe, Tammy Abraham li aveva realizzati avendo in panchina lo stesso allenatore. Mourinho. La Roma non ha cambiato tecnico, semmai è cambiato in peggio l'apporto del suo attaccante più importante, arrivato grazie a uno dei più onerosi investimenti della storia del club. Più di 40 milioni di euro.
Cosa c'è di diverso rispetto a un anno fa? L'inglese riceve praticamente lo stesso numero di palloni, spalle alla porta, dalle fasce, negli scambi stretti. Magari col rendimento crollato di Pellegrini è calato il numero di assist illuminati, perché lo scorso anno erano loro due i fiori all'occhiello della prima linea giallorossa, considerando che Zaniolo in campionato era già un ectoplasma e che Shomurodov rafforzava da subito la teoria secondo cui non si possono spendere oltre 17 milioni per uno che giocava part time nel Genoa. Una volta deciso di interrompere il rapporto oramai logoro e logorante con Dzeko, la Roma con decisione si buttò sull'ex punta del Chelsea, caldeggiato proprio da Mourinho. Al punto che comprando Abraham finì il budget di mercato, si dovette rinunciare a Xhaka, anche perché con tanta fretta e altrettanta superficialità a metà luglio erano stati già bruciati 30 milioni di euro per Viña e, appunto, Shomurodov.
Dicevamo, Abraham sta meno al centro del mondo Roma non perché rispetto allo scorso anno ha preso confidenza con esclusioni dal primo minuto e sostituzioni in corsa, perché queste due novità sono la conseguenza del rendimento scadente. Un anno fa Mourinho non lo sostituiva neanche quando Abraham più che la sostituzione chiedeva un'ambulanza. Quest'anno il minutaggio è sceso, ma siccome i gol per gli attaccanti sono una legge, la media realizzativa rispetto ai minuti giocati emette una sentenza. Che non condanna l'inglese ma lo inchioda alle sue responsabilità.
Quando Mourinho per rispondere alla domanda sul perché si segna poco risponde che la Roma non ha Haaland, il più grande realizzatore al mondo, più che svilire l'argomento, ha fatto un favore ai centravanti della Roma. Perché, rendimento alla mano, gli avrebbe potuto fare un torto menzionando Petagna invece che il norvegese. Petagna più forte di Abraham e Belotti? Certo che no, ovvio. Ma il rendimento stagionale dei numeri nove e undici è colpevolmente basso, scadente scadente. Il calcio, come spesso la vita, non prevede la parola riconoscenza. Perché dalla riconoscenza nel calcio scaturisce troppo spesso il campare di rendita. E troppe volte abbiamo ricordato come molti giocatori della Roma si siano fermati alla partita di Tirana, giocata undici mesi fa.
In the box - @augustociardi75