06/11/2023 16:26
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - All'ultimo #inthebox avevamo dato il titolo "La vita degli altri", portando alla luce pregi e difetti delle rivali della Roma nella corsa alla Champions League. Eravamo stati abbastanza di manica larga con il Milan, inserendolo nella categoria degli inarrivabili, assieme a Inter e Juventus, non presagendo l'ennesimo suicidio della squadra di Pioli, unica milanese iscritta al torneo autunnale di ciapanò.
Milan, Atalanta Fiorentina e Lazio. Dal buio del Meazza della scorsa settimana all'ascensore per l'inferno, andata e ritorno, di ieri all'Olimpico, la Roma passa in due minuti e mezzo dall'undicesimo posto al recupero di tre punti su chi, nel lungo weekend calcistico, ci ha rimesso le penne. Milan, Atalanta, Fiorentina e Lazio, appunto.
Troppi difetti delle altre per officiare il funerale della Roma. Detto che al novantesimo vacillavano pure quelli che con Mourinho andrebbero all'inferno. Pure chi, come il sottoscritto, non sente il bisogno di usare hashtag piacioni per mostrare vicinanza al tecnico portoghese. Perché con lui ci sta da almeno venti anni, da quando era un sogno immaginare il suo arrivo, ossia dai tempi del Porto agli anni di Manchester, figuriamoci quando subito post Tottenham aveva capito che si poteva realizzare. Il sogno. Ma questo è un altro discorso.
Il finale contro il Lecce ripristina la giusta distribuzione dei meriti. Perché soltanto il caso aveva consentito ai pugliesi di finire il primo tempo col risultato in parità. La Roma meritava forse anche un vantaggio doppio. E non meritava di stare sotto nella ripresa anche se il rendimento stava nettamente calando. Poi però nel calcio c'è una cosa che non si archivia mai, perché per essere attuale non ha bisogno degli integralisti appartenenti alla setta degli allenatori modaioli per imporsi. E questa cosa sono i risultati. Determinati dai calciatori. Da sempre, loro più degli allenatori fanno la differenza. Bisogna solo saperli sfruttare.
Succede quindi che Zalewski torna a fare una cosa da esterno, discesa sulla fascia e cross, e che un attaccante talentuoso, ma tormentato nel fisico, Azmoun, ne faccia una altrettanto vitale, l'incornata di testa, perentoria. Uno a uno. Poi ci pensano i più forti di tutti. Dybala e Lukaku. Chiamateli come volete, per soprannome, nome di battesimo, facendo crasi o usando giochi di parole. A noi piace chiamarli per cognome. Dybala e Lukaku. Due così meritano di essere nominati scandendo ogni lettera che li distingue, perché la Roma raramente si è potuta permettere due attaccanti così, contemporaneamente. Due che fanno la differenza.
Due così, quando Dybala sta in piedi, non li ha il Milan, men che meno li hanno Lazio, Fiorentina e Atalanta. Il Napoli è un discorso a parte. Pure quando Osimhen è ai box, Garcia può inserire Raspadori nel tridente con Kvara e Politano, avendo in panchina pure Simeone. Tanta grazia. Ma in generale la perfezione non alberga nella porzione di classifica immediatamente a ridosso della vetta. Il Milan va ancora giudicato con gli asterischi. Ha i mezzi per non farsi rosicchiare. Per il resto, parliamone.
Nell'ultimo numero di questa rubrica non volevamo indorare la pillola amara da inghiottire della sconfitta milanese in nome del mal comune mezzo gaudio. Bensì evidenziare che nulla fosse impossibile, se competi con squadre piene di nei. Nel calcio i risultati sono tutto. Il campionato della Roma poteva essere coperto da una pietra tombale se la partita con il Lecce non fosse stata ribaltata. Ora alle viste c'è un trampolino. Il derby. E la certezza che al netto della bontà dell'organico della Lazio, sia un match in cui la Roma deve scendere in campo senza timori reverenziali che troppo spesso hanno caratterizzati certi big match. Lo dice la classifica. Lo dicono i difetti della Lazio di Sarri e dello stesso Sarri. Perché gli eletti, nominati profeti della panchina, difesi dalle legioni mediatiche di riferimento, passano tempi difficili. Pure loro, ma guarda un po', vengono passati al vaglio dai risultati.
Così che non ci siano bravi a prescindere o per moda. Così come nessuna moda potrà spazzare via la bravura di certi allenatori, se questi sono supportati dai risultati. In molti ci provano a liquidarli, ma sono soltanto portatori di giudizi avventati. Ai tempi del Napoli e dell'Everton, diedero del bollito ad Ancelotti, poveri spregiudicati. Da mesi hanno tumulato Mourinho e Allegri, rei di essere bollati come antiquati. Non facendo i conti con la bravura di chi in carriera colleziona trofei. Chi non dovrebbe mai essere messo da parte per partito preso. Perché la figuraccia mediatica è sempre dietro l'angolo.
In the box - @augustociardi75