21/05/2024 10:37
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - L'arte della distrazione di massa non troverebbe terreno fertile se ci fosse maggiore attenzione ai numeri. Che vanno oltre l'opinione, umiliano l'informazione pilotata, rendono giustizia ai fatti. Mentre il pigro finale di stagione e il calo di motivazioni e di entusiasmo riportano in auge le pietose guerre di religione e di cassa, riproponendo come si ripropongono di notte le peperonate e la parmigiana i discorsi stucchevoli e i confronti inutili fra allenatori presenti e passati, c'è un dato inquietante che va oltre oltre il dito e ci mostra la luna, nera a causa dell'eclissi che ciclicamente si ripete con cadenza annuale.
Dal 2018-19, ossia da quando la Roma ha smesso di qualificarsi in Champions League, il campionato è diventato una via crucis. In principio fu Di Francesco, quindi Ranieri e il suo interregno, poi Fonseca quindi Mourinho, e ora De Rossi. Così come si è passati da Monchi a Petrachi, quindi Fienga e il suo interregno, fino a Tiago Pinto. Allenatori i più diversi tra loro, direttori sportivi distanti anni luce tra loro, dirigenti di mercato improvvisati. Minimo comune denominatore? I flop nei presunti scontri diretti. Contro squadre che a fine campionato hanno preceduto la Roma in classifica.
6 campionati, 62 partite in esame, se non siete seduti, accomodatevi. Ingerite un antispasmi, grazie. Fatto? Procediamo. 62 partite, appena 6 vittorie, 22 pareggi, ben 34 sconfitte. Peggio di una provinciale debuttante in Serie A. La Roma in queste ultime 6 stagioni ha dato il via libera a chi l'ha costantemente superata in graduatoria. La Roma si è tolta lo sfizio di non avere rimpianti, non avendo mai del tutto preso parte alla corsa alla Champions League. Considerazione che fa rabbia se pensiamo al consolidamento ottenuto in Europa, inversamente proporzionale agli insuccessi italiani. Una via crucis, la ripetitività calcistica che annualmente vanta in tv la replica di una Poltrona per due la sera del ventiquattro dicembre.
Nella seconda stagione di Di Francesco, 2018-19, esaurita la vena che spinse la Roma in semifinale di Champions League, la squadra arriva sesta. Pallotta sparisce dai radar, a chi gli pone domande su WhatsApp, lui risponde, senza distinzioni, dai direttori di testata agli studenti, dai metalmeccanici ai fruttivendoli, ripete come un mantra "ask Monchi". Una guerra intestina imbarazzante, col presidente in totale disimpegno, che rimette tutto nelle mani del direttore sportivo oramai in totale confusione, in mezzo a dirigenti amministrativi inermi che in quella fase erano impegnati a imitare l'orchestrina del Titanic. C'era ancora Totti, già separato in casa, desaparecido pure lui nei giorni neri, tipo quando la Roma viene presa a pallonate pure in Coppa Italia, buscandone sette dalla Fiorentina. Davanti alla Roma finiscono Juventus, Napoli, Atalanta, Inter e Milan. Contro cui la Roma vince 1 partita (alla terzultima giornata, con la Juventus che ha già stravinto lo scudetto), ne pareggia 6 e ne perde 3.
2019-20, stagione caratterizzata dal covid. Roma quinta in classifica. C'è Fonseca in panchina. Si guardano dal basso Juventus, Inter, Atalanta e Lazio. 1 vittoria, 5 pareggi e 2 sconfitte. Si vince allo Stadium della Juventus, a fine stagione, quando le partite somigliano ad amichevoli.
2020-21, la prima con Friedkin. L'ultima con Fonseca, che porta la Roma in semifinale di Europa League. Campionato fra i più anonimi, si chiude al settimo posto, 1 vittoria in un derby da spiaggia di fine statione, 4 pareggi e ben 7 sconfitte. Caporetto italiana.
Ecco Mourinho, 2021-22, si spera che cambi il corso della Roma in campionato ma è soltanto un'illusione, perché il piazzamento finale è il solito, il sesto, e nei match con chi precede la Roma in classifica è un disastro. L'unica vittoria nel derby di ritorno, il rotondo tre a zero. Per il resto, 2 pareggi e ancora 7 sconfitte.
2022-23, c'è pure Dybala. In Europa la Roma è sempre più protagonista, l'anno prima con il trionfo di Tirana, stavolta a Budapest, dove finisce con in ignobile furto. In Italia, la solita storia. Sesto posto, che poi sul campo è settimo, perché la Juventus viene penalizzata, vittoria sui bianconeri grazie a un siluro di Mancini. In autunno la Roma aveva vinto al Meazza, contro l'Inter. Totale: 2 successi, 3 pareggi, 7 sconfitte. Unica stagione delle ultime sei in cui sono state vinte due partite contro le big.
Arriviamo al campionato che stiamo per salutare. Ancora sesto posto, record negativo contro le squadre che precedono la Roma in classifica, 0 vittorie, a fronte di 2 pareggi e 8 sconfitte. Si apre con Mourinho, si chiude con De Rossi. Dopo Di Francesco, Ranieri e Fonseca. Vorrà dire qualcosa? La Roma sempre più spesso si esalta in Europa ma crolla in campionato.
Fosse possibile, invece di fossilizzarsi sugli allenatori, bisognerebbe sperare in una rivoluzione tecnica, perché da anni le colonne della squadra sono calciatori che evidentemente nel torneo lungo non possono fare la differenza, e non hanno neanche ricambi all'altezza. Due esempi, fra i senatori. Pellegrini e Cristante danno tutto in campo, nonostante limiti tipici dei calciatori di squadre che come la Roma stanziano in un limbo di classifica. Per cui è difficile comprare calciatori che li facciano sedere in panchina, ma sarebbe doveroso prendere gente in grado di dargli il cambio, per farli respirare.
Ebbene quest'anno sono stati presi uno che somiglia a un ex atleta, Renato Sanches, e uno che molti operatori di settore lo hanno definito non adatto al nostro campionato, Aouar. Sanches e Aouar. Gente che neanche viene fatta più scaldare per entrare negli ultimi cinque minuti. Sarà forse questo uno dei grandi problemi della Roma? Si insinua il dubbio oppure è troppo comodo continuare a parlare per poca convinzione e grandi interessi degli allenatori? Se ci pensate, De Rossi da almeno un mese, con modi estremamente eleganti ed efficaci, non dice cose tanto diverse dai suoi predecessori.
In the box - @augustociardi75