Montella: "Ca­pello sulla gestione aveva qualità supe­riori"

12/07/2009 16:10

Oggi a mente fredda, racconta il suo stato d’animo e i suoi progetti, senza alcun rimpianto e con entusiasmo e grande voglia di cominciare un nuovo percorso. E’ stato uno straordinario uomo gol, nell’anno dello scudetto ha conteso il posto da titolare a Gabriel Batistuta, considerato all’epoca il numero uno. Oggi Montella è un uomo maturo, che non si volta indietro, che ha scelto Roma e la Roma come sua casa. Era arrivato dieci anni fa, ogni anno sembrava fosse sul punto di cambiare aria. Per anni l’Inter gli ha fatto la corte. Invece a Roma ha messo le radici e non se ne andrà più. La sua storia racconta di un calcio che cambia e che, forse, non tornerà più.

Vincenzo Montella, sono passati dieci giorni dalla decisione di dare l’addio al calcio. Le è venuto per caso qualche rimpianto?

«No, ci ho riflettuto a lungo, credo di aver fatto la scelta giusta. Certo, in que­sti giorni fa un certo effetto vedere tut­te le squadre che ricominciano la prepa­razione, ma faccio finta di niente. Mi sto allenando, come ho sempre fatto, per­chè continuerò sempre a farlo. E’ come se dovessi andare in ritiro tra pochi giorni. Credo che la cosa peggiore che si possa fare nel mio caso sia lasciarsi an­dare. Invece mi tengo in attività per non prendere peso, perchè magari a tavola, questo sì, ci si concede qualcosa in più e allora per stare in forma è bene alle­narsi ».

Ha cominciato a impostare il suo nuo­vo lavoro?

«Mi sto documentando per prendere informazioni, non voglio arrivare ad al­lenare da sprovveduto. Mi dovrò occu­pare di ragazzi di quattordici anni, que­sta è un’eta difficile, particolare. Biso­gna sapere bene cosa bisogna allenare».

Allenerà ragazzi che hanno gli anni che aveva lei quando andò via di casa. Sa cosa vuol dire sognare di diventare calciatori a quell’età.

«Io lasciai la mia famiglia a tredici an­ni compiuti per andare a Empoli. Non è stato facile. Quella è un’età particolare. Devi sapere che avere qualità non basta. E poi spesso ci sono genitori che pensa­no di avere dei figli fenomeni. Tutti de­vono sapere che a quella età ci sono tan­ti ragazzi che hanno doti, ma non tutti riescono ad arrivare, anzi. Così devi sa­per allenare anche sotto questo aspetto, forse anche i genitori».

Da quando ha pensato di fare l’alle­natore?

« Era un’idea che avevo in testa da qualche anno. Quando sono tornato per una stagione alla Samp, due anni fa, ho preso il patentino di seconda categoria».

Giorgio Rossi, il massaggiatore stori­co della Roma, in un’intervista di qual­che giorno fa ha detto che lei già “pen­sava” da allenatore quando era in pan­china.

«Con Giorgio a volte si scherzava sul fatto che anticipavo le mosse degli alle­natori seguendo le partite. Del resto ho passato molto tempo in panchina...».

Allenando ragazzi di quattordici anni bisogna essere forse più educatori che tecnici. Si sente responsabilizzato?

«Sì, sento di essermi assunto un gran­de impegno, soprattutto dal punto di vi­sta educativo, che va oltre l’aspetto tec­nico. Vorrei che i genitori capissero che non tutti i ragazzi di grande talento rie­scono poi a emergere a livello professio­nistico ».



Ha sempre detto che i suoi genitori hanno avuto un ruolo importante nel suo essere diventato un grande calcia­tore.

«La loro figura è stata fondamentale. I miei genitori non hanno mai visto una mia partita. Una volta sola provai a por­tare mio padre allo stadio, quando ero già... Montella. Scelsi una partita ami­chevole prevedendo che ci fosse poca gente. Invece lo stadio era pieno e mio padre rimase impressionato dagli spal­ti gremiti e dalla ressa. Quando ero più piccolo non aveva tempo per venirmi a vedere, lavorava tutto il giorno. La fami­glia mi ha dato una base determinante per la mia formazione. Vengo da un pae­se piccolo, povero e particolare. Quando raggiungi certi livelli è difficile non per­dere la testa. Allora quando vivevo mo­menti di esaltazione - e a un giovane ca­pitano - bastava tornare a casa per ri­trovare equilibrio».



Cosa le mancherà del calcio dei gran­di?



«Un po’ tutto. Ma era inevitabile che questo momento prima o poi arrivasse. Mi sono sempre sforzato di prepararmi ad affrontarlo, anche nei periodi miglio­ri. Non bisogna meravigliarsi se quando sei all’apice tutti ti cercano e invece quando smetti cambia qualcosa. Se non sei preparato psicologicamente puoi in­contrare problemi».

Si è lasciato dietro qualche rimpianto, una carriera che poteva essere miglio­re?

«I rimpianti affiorano se non hai dato tutto te stesso, ma per me non è stato co­sì. Io ho dato sempre tutto, ho soprattut­to fatto una vita regolare e questo com­porta grandi rinunce. Se non avessi do­vuto confrontarmi con tanti attaccanti forti della mia generazione forse sareb­be stato un po’ diverso».

Però quando aveva già superato i trent’anni, si prese la soddisfazione di tornare in Nazionale, nella prima fase di Lippi c.t.

«Provai una grande gioia. Tutti gli al­lenatori quando arrivano in Nazionale cercano di portare avanti i giovani. E’ stata un’esperienza positiva, che mi ha dato la possibilità di capire perchè Lip­pi è arrivato a ottenere certi risultati».

Parliamo ancora di allenatori. Del Ne­ri, che ha vissuto alla Roma un periodo breve e difficilissimo, un giorno disse: « Ringrazio Montella perchè ha dimo­strato di essere un grande uomo».

«Questi sono gli attestati di stima che preferisco, che mi lusingano di più al di là degli apprezzamenti tecnici. Con Del Neri ho avuto un ottimo rapporto. Ricor­do che ero capocannoniere e una volta mi mandò in panchina. Mi spiegò che era dispiaciuto ma non poteva fare di­versamente. Eravamo parecchi, la si­tuazione di classifica era particolare e non si poteva giocare con tre attaccanti come me, e Cassano. Diedi la mia disponibilità».

Zeman è stato l’allenatore che l’ha vo­luta alla Roma ma non l’ha mai allena­ta. Ha mai parlato con lui?

«No, non l’ho mai conosciuto e mi è di­spiaciuto. Mi sarebbe piaciuto poter la­vorare con lui».



Cosa porterà nella sua nuova avven­tura del suo bagaglio di grande campio­ne?

«L’importante è partire da zero. Chi ha raggiunto un certo livello da calciato­re non è detto che riesca a diventare un bravo allenatore. Non voglio crediti. La cosa più importante è avere il carisma per farsi ascoltare dai ragazzi, ma quel­lo non te lo dà una carriera al top. Ci vuole dedizione ed entusiasmo».

Cercherà di prendere qualcosa da tutti gli allenatori che ha avuto? Anche da Capello?

«Sicuramente. A livello di gestione ha dimostrato di avere qualcosa in più de­gli altri. Tutte le mie esperienze sono state positive, oggi, a ripensarci a men­te fredda, anche quella con Capello lo è stata. In quel periodo a me sembrava che mi venisse tolto qualcosa. Però Ca­pello sulla gestione aveva qualità supe­riori. Quando dico gestione intendo tut­to, del gruppo, della squadra, dei rap­porti con la società».

Cosa le ha detto Spalletti quando gli ha comunicato che avrebbe smesso con il calcio?

«E’ stato molto affettuoso. Mi ha det­to che avrei potuto contare su di lui per qualsiasi cosa avessi bisogno».

Ha mai pensato di chiudere la carrie­ra nel ?

«In effetti qualcosa negli anni passati c’era stato, poi la società ha giustamen­te scelto la politica dei giovani. Ci pote­va stare, ma niente di concreto».

Andare via da Roma quando era al top le avrebbe permesso di vincere di più?

«A posteriori non è detto che sarebbe andata meglio. Avrei potuto cambiare in meglio, ma anche in peggio. Più di una volta c’è stato l’interessamento dell’In­ter, ma io a Roma mi sono tolto belle soddisfazioni».

Montella, un giorno le potrebbe capi­tare di allenare suo figlio?

«Potrebbe e quando capiterà ci pen­seremo. Oggi mio figlio ha nove anni e gioca nella Polisportiva Palocco. E’ un attaccante mancino come me ed è bra­vo. Farò in modo di non fargli montare la testa se andrà avanti con il calcio. A me adesso interessa soprattutto che sia bravo a scuola. Ma confesso che se non avesse avuto una certa predisposizione per il calcio mi sarebbe dispiaciuto».

In questo periodo di vacanze allunga­te le viene un po’ di nostalgia?

« Ma no... Con i ragazzi comincerò il 10 agosto, non sarà così lunga l’estate. Non ci sarà un distacco totale con il cal­cio. Avrò dei collaboratori che mi affian­cheranno. Il è Ma­rio Lodi, che conosco perchè un anno venne in prima squadra. Poi avrò un ra­gazzo che mi aiuterà sul campo, anche lui lo conosco bene. Si chiama Daniele Russo, ha giocato in B e poi ha finito nel­la Cisco».

Quali traguardi si prefigge da allena­tore?

«Meglio capire prima se ne sarò capa­ce, poi si vedrà. Credo di esserci porta­to ».

Riuscirà a seguire la Roma?



«Ho saputo che il campionato Giova­nissimi lo giocheremo domenica pome­riggio, avrò poche occasioni. Ma invio il mio in bocca al lupo ai miei ex compa­gni ».

Pensa di studiare il lavoro di qualche allenatore che va per la maggiore per fare esperienza?

«Credo sia più giusto capire la ­goria nella quale mi cimenterò. Io pen­so che con i ragazzi sia importante lavo­rare quanto più possibile per migliora­re i fondamentali. Dal punto di vista atletico lavori troppo impegnativi vanno limitati, perchè si tratta di giovani che hanno strutture fisiche diversamente sviluppate».