Ma il fattore 'C' prima o poi finisce

28/09/2009 08:39


Niente di clamoroso al Cibali, se non la pochezza della nostra squadra sparita tra equivoci nuovi e antichi, mollezze e superficialità, carenze e invecchiamenti. Un’orchestra che ormai presume, più che eseguire, salvata nel finale dal tocco di ginocchio di , sull’unica conclusione a rete di un
che sognava probabilmente di regalarsi ben altro per il suo trentatreesimo compleanno. Uno a uno, per la


rabbia dei siciliani e la nostra felicità contenuta anche per pudore; secondo pari a tre giorni da quello di Palermo, un altro punto buono solo a rimpolpare una classifica né carne né pesce. Oggi magari qualcuno vi racconterà di una Roma cinica e spietata, brutta a vedersi quanto pronta a bruciare l’avversario al primo errore. Noi proviamo a essere più seri, salvando di un pomeriggio calcisticamente da tregenda solo la sconfitta

scampata quasi all’ultimo secondo e il formidabile effetto C mostrato complessivamente da Ranieri,

allenatore che se non altro non perde. Mai guai a illudersi che il peggio sia alle spalle. O a credere che ci si possa affidare alla buona sorte senza soluzione di continuità: se è vero, come diceva Napoleone, che un generale fortunato è spesso migliore di uno bravo, è ancora più vero che non si deve esagerare. Il culo conta nel calcio come nella come nella vita, ma prima o poi finisce. Irreparabilmente.

Prendiamoci pure il punto, ci mancherebbe: ma non dimentichiamo in che modo è arrivato, in cima a quale prova, attraverso quali indicibili sofferenze. La verità è che la Roma - ieri tornata per gioco e consistenza agli infimi livelli di Basilea - non solo non è guarita dai suoi mali, ma di questo passo rischia di convincerci (e di convincersi) che questi mali siano addirittura incurabili.

Oddio, con buone probabilità Ranieri e il tempo ci restituiranno via via un Mexes meno jellato e meno svampito, un Motta più attento, un Brighi e un Perrotta più tonici, un meno stanco, un Pizarro e un
più brillanti. Forse, prima che questa stagione precipiti del tutto in una mediocrità di chiaro stampo roselliano, riusciremo anche a rivedere Doni tra i pali e un Baptista che somigli un po’ di più al suo feroce nomignolo. Ma lì finisce. Nessuno riuscirà mai a far diventare veloci Juan e Riise, o Julio Sergio grande e grosso come dovrebbe essere un
moderno, o cattivo Vucinic, o fresco come una rosa Taddei, o i giovani del "progetto" di Rosella (ma solo suo) capaci di far compiere alla squadra il salto di qualità che l’avrebbe riportata in alto, in un campionato oggettivamente non sovraffollato di fenomeni.

Nessuno, soprattuto, potrà restituire giovinezza e risorse illimitate a , ancora una volta specchio della realtà romanista: se si ferma lui, si ferma la squadra. E’ un caso che, a capo di un pomeriggio di rara mosceria, il suo unico tiro a rete - tra l’altro deviato con un tocco da rigore da un difensore catanese - abbia innescato la rapinosa deviazione di ? Altro che insulse discussioni su un contratto che, se non rinnovato, segnerebbe la fine di una Roma per tanti versi già al tramonto. andrebbe tutelato come un panda, spinto a selezionare gli impegni, convinto a centellinare le energie. E, in prospettiva, affiancato da un possibile erede, da un talento più vivace e credibile di Menez, da un giovane (non quelli riportati in estate a Trigoria, anche per evidente assenza di richieste) capace di tornare a infiammare un ambiente, di convincere

un gruppo che i futuri investimenti della società non riguarderanno solo il cemento e il titanio da rovesciare alle falde di Colle Aurelio.

Ma chi è nelle condizioni di farlo? Chi ne ha le possibilità, chi la lucidità, chi la competenza? Nel frattempo, evitiamo con cura di cullare pericolose illusioni. Senza prospettive progettuali certe, e senza un euro, la Roma è e rimarrà questa. In grado di regalare qualche guizzo, di agguantare qualche colpo di fortuna, di riscoprire

quà e là la classe dei suoi primattori, ormai sempre meno numerosi e comunque in larga parte logori. Il gruppo uscito dal non-mercato estivo - e sempre sia lodato Moratti per l’ennesimo regalo (Burdisso) - andrà inevitabilmente incontro ad avvilenti alti e bassi, afflitto dai suoi pregi (in molti casi ormai soprattutto teorici) e i suoi non pochi difetti. E sarà bene che se ne rendano conto tutti, in una à che anche ieri sera, senza


troppo di interrogarsi sul vero significato dell’agghiacciante prova di Catania, pareva piuttosto concentrata - secondo antico vizio - ad analizzare i difetti altrui, ipotizzando la solita fantasiosa rimonta: visto che figura, Inter e ? E il , che pareva irresistibile? E la stessa
, già strapazzata all’Olimpico, in fondo


sin qui che cosa ha fatto? Se poco poco ci rimettiamo in sesto, chi ci toglie "almeno" il terzo posto? E’ la moda cittadina, ahinoi. Quella seguita con desolante applicazione da chi, ignorando o volendo nascondere i propri, punta sempre a consolarsi con i problemi altrui. Tipo: l’Italpetroli è un buco nero? E perché non parliamo della

Saras di Moratti? La Roma non ha comprato nessuno? E il Milan, che ha venduto Kakà?... Già: come se chi ha le corna potesse consolarsi vedendo la moglie del vicino abbracciata ad un altro.

 

Noi, che preferiamo concentrarci sulle faccende di casa nostra, perché in genere degli altri nulla ci frega, vorremmo invece che il tifoso romanista evitasse di distrarsi ficcando il naso altrove. In questo senso, ci è parso un significativo epitaffio il commento finale di , l’uomo della rotula-gol che ha fatto saltare i nervi al Catania:

«Siamo un ibrido: inseguiamo ancora il gioco di Spalletti, senza avere più la capacità di applicarlo, non riusciamo a dare corpo a quello di Ranieri, che vorrebbe un’altra concretezza e un’altra determinazione». Chiaro? Se non lo fosse, si può provare a cogliere altri segnali di grande chiarezza proprio nelle parole del tecnico arrivato solo un mese fa: «Credo proprio di aver capito qual è il problema di questa squadra. Ma a

volte ci sono difetti che non si possono raccontare pubblicamente». Non serve un esperto in sanscrito per tradurre le sensazioni di Ranieri, che da giorni ha ripreso a battere duro sugli stessi tasti toccati dall’ultimo Spalletti: il Dna di un gruppo fatalmente ispirato alla mollezza, il fioretti sempre preferito alla clava, la presunzione di chi molto chiede e pochissimo a dato, sudando il minimo in allenamento per poi offendersi

se spedito in panchina o in tribuna. La convinzione che quella che era una forza sia ormai una malinconica somma di debolezze, in campo e fuori. Ranieri sembra aver capito in fretta. Speriamo riesca a illustrare la sua analisi nel chiuso di Trigoria, ammesso trovi qualcuno disposto ad ascoltarlo, prima ancora che a capirlo. Da settimane, alla Roma non si parla che di stadi, di studi urbanistici, di centri commerciali, di nuovi quartieri, di titanio. Potrà il povero Claudio trovare udienza, tra una conferenza-stampa e un incontro con i rappresentanti delle istituzionilocali? Chissà. Nel frattempo, assistiamo sempre meno allibiti all’ennesima pantomima: la Roma tecnicamente più povera degli ultimi anni sta per annunciare la costruzione di un nuovo spettacolare

impianto sportivo. Conta poco quando questo potrà vedere realmente la luce, né quale squadra potrà mai calcarne l’erba. Conta il business, conta l’interesse di chi usa una proprietà come uno scudo, con arroganza pari solo all’incapacità dimostrata. Ma a te chi ci pensa... povera Roma?