08/10/2009 10:10
NON ERA COLPA MIA. "Avete visto che non era poi tutta colpa mia? Se ci sono sempre tutti questi infortunati a prescindere da medici, probabilmente le cause vanno ricercate altrove. Oggi tutti si interrogano sul perchè avvengono gli infortuni. IL calciatore è come una macchina: se noi le usiamo troppo, le macchine si rompono con maggiore facilità. Un atleta va monitorizzato attentamente per evidenziare quelle vibrazioni che possono essere dei segnali d'allarme".
ROMA LAB. "Quando il Milan creò il Milan Lab e io dissi che avrei voluto creare un Lab anche a Trigoria, non è stato accolto il significato di questa parola. Significava la creazione di un laboratorio applicato ad un soggetto, la creazione di un sistema informatico in grado di contenere i dati e i parametri per documentare tutta la vita sportiva e privata del pianeta".
PREVENIRE GLI INFORTUNI. "L'infortunio è un evento imprevedibile, ma il fattore psicologico è fondamentale. Oggi sono tutti gladiatori moderni che affrontano l'arena, ma sono loro stessi che devono trovare la forza. Il dettaglio psicologico non viene curato. Non ci sono dei sistemi applicati, dei modelli di comportamento che possano gestire il flusso emotivo di un calciatore".
IL DIVERTIMENTO. Il campione ha dentro di se la tranquillità per evitare lo stress mentre ci sono professionisti che non la vivono in questo modo. E in questo caso è più facile cadere vittima di infortuni. Noi dobbiamo imparare a considerare i calciatori professionisti come dei dilettanti pagati in maniera smisurata. Il calciatore se non si diverte non può lavorare. A qualsiasi livello vince chi si diverte. Il preparatore atletico del Manchester, il mio amico Di Salvo, mi spiegava che lì si allenano sfruttando il gesto atletico: poca palestra, riscaldamento, partita. Un sistema fidelizzato al gesto sportivo. Come ti alleni durante la settimana, poi giochi. Se tu i giocatori li fai divertire non smetterebberomai di giocare. Se invece gli fai fare le ripetute il discorso è diverso".
LO STRESS. "Il risultato poi influisce: se si è vinta la partita il giorno dopo siamo tutti felici e contenti, se non si è vinto non ci va nemmeno di andare al campo. Arrivati lì poi si ricomincia con la palestra, le ripetute...Sono sistemi di stress che si accumulano l'un l'altro. Spesso capitava che dopo la partita alcuni calciatori pesavano quasi un chilo in più rispetto al giorno prima. Perchè? Dipende dalla ritenzione idrica, causata dallo stress. Lo stress ti fa aumentare un sistema ormonale chiamato cortisolo: in un mondo normale se un giocatore si presenta al campo con un chilo in più a causa dello stress, tu lo rimandi a casa. Nel calcio si prende e gli si fa fare un lavoro doppio, perchè deve predere un chilo".
OVERTRAINING. "Il nostro corpo ci consente di vivere anche in condizioni di stress. Cessato lo stress in un soggetto ben allenato il cortisolo cala di nuovo, aumenta il testosterone e la situazione si normalizza. Quando questa situazione va avanti nel tempo, il nostro fisico si abitua e codifica quella situazione come normale. Si va allora in un sistema che si chiama over reaching, un sistema ancora transitorio: se facciamo smettere lo stress nell'atleta, lui pian piano ristabilisce i suoi livelli. Alcuni sono più predisposti di altri: se io mi gestisco tranquillamente non andrò mai in over reaching, se invece sono sottoposto a stress continuo si passa all'overtraining. E le prestazioni calano anche del 40%. E' una situazione che diventa irreversibile, e non si riproduce più quel flusso biologico dello stress e dell'antistress. Non è una condizione che si può sempre individuare, andrebbe costruito un sistema affinchè ogni atleta abbia un tracciato della sua vita professionale".
DESTINO COMUNE. "Nella cultura di oggi il medico sportivo è considerato come un corpo estraneo. in un mondo normale il medico parla per primo, nel calcio parla per ultimo. Non solo alla Roma ma in tutte le società: all'Inter Combi si è salvato solo perchè è stato cacciato Mancini, alla Juventus hanno mandato via Agricola, tutti sono finiti nell'occhio del ciclone per i troppi infortuni".
IO E CAPELLO. "Con Fabio Capello c'era una struttura a quadrilatero composta da allenatore, preparatore atletico, medico e fisioterapista. Il calciatore era contenuto in questi quattro lati, e stava al centro. Ogni mattina 15 minuti prima dell'inizio dell'allenamento relazionavo il tecnico su tutte le problematiche dei calciatori. Questa abitudine naque da un episodio: una mattina c'era un calciatore importante (Emerson, ndr) che tornava da un volo transoceanico, io lo vidi stanco e andai a relazionare Capello consigliandogli di fermarlo. Capello chiamò il calciatore e gli chiese come si sentiva, il giocatore rispose che stava bene. Entrò in campo e si ruppe il crociato in allenamento. Da quel giorno quello che diceva il medico era legge".
IO E SPALLETTI. "Successivamente, in modo diverso, l'unico con cui ho instaurato questo tipo di rapporto è stato Spalletti. Con Luciano il rapporto umano è stato fortissimo, poi spesso ci siamo scontrati su teorie dello sport. Lui punta molto sulla cultura del lavoro e io rispetto la sua trasparenza ideologica. Con lui ho vissuto un periodo molto bello ma quello schema proposto con Capello non l'ho più riproposto, anche se non sono mai stato forzato sul recupero di nessun giocatore".
I FATTORI ESTERNI. "I problemi societari possono essere un motivo di stress cumulativo per i giocatori, è un pericolo molto forte ma la grande bravura di Capello e Spalletti è stata quella di chiudere la squadra ai fattori esterni. Eravamo un blocco unico e tutto quello che accadeva fuori non ci scalfiva. Nell'anno dello scudetto la bravure di Capello è stata quella di blindare la squadra e fargli vivere il meno possibile l'ambiente circostante. Tutti i fattori esterni contribuiscono al calo della performance, il calciatore non è diverso da un uomo normale".
LE FUGHE. "Nel momento dell'infortunio e della ricaduta c'è una sorta di tentativo di fuga dalla realtà quotidiana per sentirsi più protetti. Ai tempi di Capello eravamo considerati lo staff medico migliore in Europa, recuperavamo un legamento anteriore in quattro mesi e mezzo rispetto ai nove mesi perchè c'era una equipe medica formata da un grande ortopedico. Mariani, un grande fisioterapista, Silio Musa, una figura straordinaria come Giorgio Rossi e c'ero io che facevo da coordinatore. Questo faceva si che i recuperi procedessero nel migliore dei modi. I giocatori che avevano pensato di cambiare, alla fine sono sempre tornati a farsi curare da noi. Ai tempi di Capello non ci si andava a curare da altre parti".
IO E TOTTI. "E' il paziente ideale da curare. I migliori pazienti che ho incontrato nella mia vita sono stati lui e Franco Sensi. Seguivano alla lettera le mie indicazioni, si consegnavano spontaneamente. Non dovrei dirlo ma nella mia carriera Francesco e Vincenzo (Montella, ndr) sono i giocatori ai quali sono più legato, anche a De Rossi sono legatissimo e sono felice per quello che sta raccogliendo. Quando Totti si fece male alla caviglia lui si girò verso di me e mi disse: "Ma tu vieni in clinica?", e io lo tranquillizzai. Quando arrivai gli chiesi se era agitato e lui mi rispose: "E perchè, ci sei tu, c'è Vito (Scala, ndr), sapete quello che dovete fare". Questo è il paziente che mette la sua vita nelle tue mani. Dopo l'infortunio ha portato le stampelle per 30 giorni, al trentunesimo correva sui campi di Trigoria. Un miracolo".
IO E AQUILANI. "E' stato per molti anni il mio genero ideale. L'ho visto crescere, il papà è un amico. Ciò che sogno e spero per lui è che riesca ad avere dalla vita sportiva quello che merita. Quando Capello lo vide per la prima volta, mi disse: "Aquilani sarò il nuovo Redondo, sarà uno dei centrocampisti più forti della storia del calcio. Mi auguro che riesca ad ottenere dallo sport tutto quello che merita".
IO E FRANCO SENSI. "Tanti anni fa scelsi di rimanere alla Roma. Potevo seguire Capello ma non me la sentii di tradire Franco Sensi. Se tornassi indietro rifarei la stessa cosa. Io mi sono specializzato in medicina dello sport per diventare il medico della Roma, ci sono riuscito. Quando diventi il medico della Roma non puoi essere altro, rimani il medico della Roma. La mia esaltazione l'ho vissuta il 17 giugno 2001, so che cosa vuol dire vincere. Oggi tornare nel mondo del calcio sarebbe un passo indietro, a meno che il calcio non intenda cambiare direzione e mi dia la possibilità di creare quel sistema di tutela della salute che ho in mente. Se quel giorno arriverà sono pronto a tornare in qualsiasi momento. Alla Roma con questa proprietà? Non dipende dalla proprietà ma da quale strada si prende. Io devo tutto a Franco Sensi e se loro vogliono io alla Roma ci ritorno anche domani".