Milan-Roma, ritorno all'antico

14/10/2009 09:00

Non solo gli uo­mini. C’è stato un tempo (la fine de­gli anni Ottanta) in cui il «verbo sac­chiano» favoriva la diffusione di quel sistema di gioco. Anche se in realtà la ricchezza tattica del cam­pionato italiano ha impedito che quel modulo si trasformasse nella «religione ufficiale» della serie A.

L’Italia del Pallone vent’anni fa pensava che senza il 4-4-2 non si po­tesse vincere. Le cose, col tempo, so­no cambiate. Il 4- 4- 2 come modulo ufficiale la Roma lo ha abbandonato dodici anni fa. In pratica, bisogna ri­salire ai tempi di Carlos Bianchi (tempi brevi, peraltro). Il Milan un­dici anni fa con l’ultima « gestione Capello». Oggi si dice: il modulo non conta. Il che è vero perché non esi­ste un modulo vincente per diritto divino, mentre esistono interpreti che di volta in volta possono realiz­zarlo al meglio o al peggio. Se così non fosse, non si capirebbe perché Capello, cambiando à e trasfe- rendosi a Roma, ha dirottato le sue attenzioni su un sistema di gioco di­verso che, peraltro, ha regalato alla squadra notevoli soddisfazioni ( lo scudetto). Difesa a tre, centrocam­po a quattro, trequartista tra le linee e due punte, una molto larga (solita­mente Delvecchio) che in fase difen­siva si abbassava ad­dirittura sulla linea dei centrocampisti: un lavoro improbo ma ef­ficace.


In oltre dieci anni la squadra giallorossa ha sperimentato una no­tevole quantità di mo­duli: il estrema­mente «generoso» di Zeman (la filo­sofia era quella di segnare un gol in più dell’avversario dimenticando che spesso per segnarne uno in più bisogna incassarne uno in meno), quindi Capello e, infine, Spalletti che ha portato in Italia un modulo, il 4-2­3-1 molto utilizzato in Spagna. Rivi­sto e corretto, il sistema ha consen­tito di esaltare le qualità offensive di affrancandolo da un eccesso di compiti difensivi (che normalmente incombono sul trequartista).


Evoluzione parallela, quella del Milan, che con il Modulo caro a Sac­chi non ha più vinto. Zaccheroni ha conquistato il penultimo scudetto con il 3-4-1-2; , arrivato do­po Terim, ha preferito puntare, a se­condo delle circostanze, sul 4-3-1­2 o sull’albero di Natale, il 4-3-2-1. I risultati non sono mancati: due , una Intercontinentale, uno scudetto. Se si guarda al 4-4­2 attraverso questa lente di ingrandi­mento si può finire per considerar­lo un modulo in qualche maniera su­perato dai tempi. D’altro canto, og­gi quasi tutti gli allenatori preferi­scono coprire il campo con quattro linee piuttosto che con tre. Ma il problema non può essere affrontato in termini storici: i moduli hanno un valore sempre in riferimento alla gente che mandi in cam­po. E poi spes­so non è che siano così di­versi. Un esempio? Nel cambia solo la posizione di una punta (o le caratteristiche di un giocatore) ri­spetto al 4-4-2.


Nel secondo modulo la seconda punta si sistema in diagonale rispet­to alla prima. Nel primo, invece, gli guarda le spalle. Non solo. Il gioca­tore che si mette alle spalle della punta avanzata può essere un attac­cante che sfrutta gli spazi aperti dal collega avanzato; o un giocatore dai piedi molto buoni che manda in gol gli esterni che attaccano gli spazi aperti dalla punta. Semmai il proble­ma del 4-4-2 è che si tratta di un mo­dulo che impone più attenzione, più organizzazione e più capacità di let­tura della partita.

Nel confronto fra due squadre si­stemate specularmente alla fine vin­ce chi mette in campo più qualità. E chi concede meno profondità agli at­taccanti (e ha difensori veloci capa­ci di recuperare sugli attaccanti che vanno nello spazio).