Rosella Sensi e la Roma sbagliata

30/10/2009 10:05

Un errore che si è andato ad aggiungere altri errori, tanti, troppi. Non ci sono stati più investimenti, non si è mai riusciti a comunicare con un minimo di chiarezza, non si è riusciti a mettere in piedi uno staff sanitario che potesse ridimensionare un’impressionante serie di infortuni, non si sono date autonomia e responsabilità ai principali collaboratori e, soprattutto, si è riusciti nell’impresa di logorare, consumare, deteriorare il rapporto con quella che è sempre stata l’unica, grande ricchezza della società giallorossa, i suoi tifosi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti ma la preoccupazione maggiore riguarda il futuro, le domande che non trovano risposta, le prospettive che non ci sono perché una nuova, peraltro non improbabile, mancata qualificazione alla prossima , certo non può legittimare chissà quali investimenti su una squadra che, al contrario, sta dimostrando di aver bisogno di un profondo rinnovamento.



Il mercato


Soldi dalla e dalle cessioni dei big ma pochi investimenti di mercato. E la punta...

Gli ultimi cinque anni di gestione virtuosa, han­no un saldo di mercato inferio­re ai 25 milioni di euro, meno di cinque milioni a stagione, saldo tra l’altro tutto addebitabile alla stagione passata, quella che portò a Trigo­ria Julio Baptista, Jeremy Menez e John Arne Riise. Per una società che per tre stagioni consecutive ha disputato la , fatturando una media di 170 milioni, vuole dire aver investito praticamente nulla, soprattutto pensando che da Trigoria in questi ultimi anni sono andati via Cassano, Chivu, Mancini e, l’estate scorsa, Aquilani, cioè il giocatore che era stato dichiarato incedibile e che era il fiore all’occhiello di quel progetto giovani che è stato sbandierato come la giusta via per continuare a sognare e ve­dere le stelle. Il tutto in anni in cui il bi­lancio della Roma non è mai andato in rosso. In sostanza, è stato un disastro, in alcuni casi, bisogna dirlo per onestà, an­che imprevedibile, come nel caso di Bap­tista e Cicinho. Basta un esempio per spie­gare: sono anni che tutti evidenziano co­me alla Roma servirebbe una prima pun­ta: non è mai arrivata. Anzi sì, Zamblera, l’ultimo giorno di mercato, preso per la Primavera ma che è sembrato, volendo scegliere di essere educati, più che altro un’ulteriore presa in giro. Eppure c’era Cruz a parametro zero. Ma la bocciatura ha anche un altro aspetto. Cioè quando non si hanno le risorse per acquistare, si deve saper vendere per avere il cash da investire. Non si è stati capaci neppure di questo. Anzi no. Aquilani è stato venduto alla grande, venti milioni di euro, ma quei soldi sono rimasti a Trigoria.

La comunicazione

Nel’era di internet anche il sito del club è arretrato. Ma è l’ultimo dei mali...

Comunicazione, questa sconosciuta. Almeno dalle parti di Trigoria e dintor­ni. Eppure siamo nell’era della comunicazione, la Roma è quotata in Borsa, Internet ha dilatato il mer­ al pianeta terra, ma tutto questo in ca­sa giallorossa non sanno neppure cosa sia. Basta dare uno sguardo al sito ufficiale del club giallorosso per rendersi conto di quel­lo che stiamo dicendo, un sito che da anni aspetta una riverniciata, ma pare non ci siano i soldi neppure per questo. E’ un di­scorso che coinvolge molto relativamente chi lavora nell’ufficio stampa della Roma, spesso, dalla responsabile Elena Turra in giù, neppure sono stati al corrente di quello che stava succedendo o di comuni­ societari che sarebbero stati dati alle stampe, come per esempio, per rimanere agli ultimi giorni, nel caso dell’ufficializza­zione dell’ingaggio di Gian Paolo Montali. Per questi (i comunicati e i consigli) ci so­no i collaboratori che sono sul libro paga (giustamente, per carità, offrono un servi­zio) della Roma o di Italpetroli: Enrico Bendoni con la sua società di comunica­zione e Pippo Marra, consigliere d’ammi­nistrazione specializzato in lettere ai tifo­si ( e in emiri arabi) che da queste parti hanno fatto epoca (in negativo). Comuni­care, oggi, è fondamentale per qualsiasi ti­po di azienda. Bene, anzi male, la Roma in questi ultimi anni tutto ha fatto meno che comunicare e, quando lo ha fatto, è stato un disastro. Il risultato sono le macerie di questi giorni. E non ci sono lettere, maga­ri pure ben dettate, che possono rimettere insieme i cocci. Anzi non fanno altro che peggiorare una situazione che definire ai confini della realtà non è un’esagerazione.

I tifosi

L’autofinanziamento si regge sui tifosi nei cui confronti però c’è poca chiarezza



Forse tutti, o quasi, i tifosi della Roma non capisco­no nulla. Forse tutti, o quasi, i tifosi della Roma si sono convin­ti, chissà perché, che la gestione so­cietaria più che virtuosa è virtuale. Forse tutti, o quasi, i tifosi della Roma sono impazziti in gruppo, una specie di epidemia della follia. Forse. Ma se si prende in consi­derazione l’altra faccia del forse, allora bi­sogna dire che forse tutti, o quasi, i tifosi della Roma hanno ragione. E ragione vuole dire essere molto preoccupati per il presen­te, ma soprattutto per il futuro della magica

che non è più magica, loro unici innocenti di questo scempio a cui stiamo assistendo, lo­ro che macinano chilometri, loro che sono la spina dorsale dell’autofinanziamento e di tutti gli stipendi pagati a Trigoria, compre­si quelli della proprietà. Solo chi non vuole vedere, non può non essersi reso conto dei danni, speriamo non irreversibili, che que­sta società ha fatto nei confronti di quella che è sempre stata l’unica certezza della Roma, i suoi tifosi. A questa gente non è mai stato spiegato niente, le sono state racconta­te una valanga di falsità, non è mai stata fat­ta chiarezza su quello che è e sarà la loro Roma, quasi mai è stata rispettata. Sarebbe­ro stati pronti anche ad accettare un ridi­mensionamento, ma bisognava dirglielo. Ci sono i numeri dell’Olimpico, abbonati e pa­ganti, a sottolinearlo chiaramente. E quelli che allo stadio ancora ci vanno, tutti, o qua­si, contestano, spernacchiano, insultano, soffrono. Ma il risultato peggiore, è una sor­ta di rassegnazione del popolo romanista. A Trigoria c’è mai stato qualcuno che si sia chiesto il perché? E, invece, a nostro giudi­zio è questa la colpa più grave perpetrata nei confronti della Roma e dei suoi tifosi.

I collaboratori

Dall’addio di Baldini manca un dirigente che sappia dire no quando necessario




Un grande capo, la prima qualità che deve avere è quella di sapersi scegliere colla­boratori competenti, preparati, coinvolti ma soprattutto in grado di dire no al grande capo quando c’è bi­sogno di dire no. L’esatto contrario di quello che è accaduto negli ultimi anni a Trigoria. Un dirigente con queste qualità c’era, il suo nome è Franco Baldini, in casa giallorossa hanno fatto storia le sue prese di posizione anche contro quelle che erano le scelte di Franco Sensi. Questo dirigente, però, ha scel­to di dimettersi all’alba dell’era dottoressa Rosella Sensi, avendo come principale moti­vazione quella di non poter più dire di no, o si faceva come gli si diceva, oppure quella è la porta. Ha scelto la porta, perché signorsì a prescindere non è mai stato il suo stile. Il ri­sultato, oggi, è che gli attuali dirigenti anche se devono prendere in prestito Zamblera, de­vono chiamare Villa Pacelli o consultarsi con la dottoressa Mazzoleni. E’ l’attenuante più concreta per Bruno Conti e Daniele Pradè, ma aver accettato questa situazione è anche una colpa che devono assumersi. Anche se il problema è a monte. Non avere l’umiltà e la consapevolezza, peraltro assai facile da capi­re e comprendere, di sapere che la specifici­tà del calcio avrebbe dovuto consigliare alla dottoressa Rosella Sensi di delegare in ma­niera più concreta, è stata e continua a esse­re una colpa senza attenuanti. Circondarsi di collaboratori che non sanno dire di no quan­do c’è da dire di no, è un’aggravante, non una giustificazione perché un grande capo la pri­ma cosa che deve saper fare è quella di saper scegliere i suoi collaboratori a costo di sentir­si dire di no. Ah, dimenticavamo. E’ appena arrivato Gian Paolo Montali, l’ottimizzatore. In attesa di fatti, sospendiamo il giudizio.

Gli infortuni

Infermeria piena recuperi lunghi e tanti misteri Caso irrisolvibile?




L’ultima volta dell’in­fermeria giallorossa vuota, si perde nella notte dei tempi. E’ da qualche an­no che ieri Spalletti, oggi Ra­nieri hanno dovuto fare i conti con una serie di infortuni, ricadute, misteri che hanno pochi precedenti. In un anno e mezzo sono stati cam­biati tre responsabili dello staff me­dico senza di fatto risolvere il proble­ma. Prima il licenziamento di Mario Brozzi, poi l’addio a Stefano Del Si­gnore ( entrambi hanno portato la so­cietà in tribunale), ma il risultato è rimasto che il problema infortuni è sempre lì, una costante con cui fare i conti settimana dopo settimana. Per carità, il calcio di oggi al ritmo di tre partite a settimana, sta creando una serie di problematiche di difficile so­luzione, ci sono altri club come Ju­ventus e Milan che hanno avuto mol­ti infortunati in questi ultimi anni, ma a Trigoria quello che non si riesce a risolvere sono i tempi dei recuperi, le ricadute, i tempi delle diagnosi co­me per esempio sul problema di Do­ni lo scorso anno o, anche, sui guai al di Cicinho. La società ha provato a risolvere il problema, ma i risultati non si sono visti. Eppure c’è un nuovo staff medico, da Villa Stuart si è passati all’ospedale Gemelli, ci sono nuovi fisioterapisti ingaggiati. Il risultato è stato anche quello che di­versi giocatori hanno preferito anda­re a curarsi da qualche altra parte. E sono stati proprio i giocatori a far ca­pire alla società che certe scelte era­no state sbagliate.