Il risultato c'è, il gioco invece no

30/11/2009 09:45

Devono negarne altri mille agli avversari della Roma, prima di convincerci ad arrossire lievemente. Nel complesso la squadra di Ranieri non ha rubato nulla, mai bellissima nel tridente stavolta non proprio acuminato - volitivo ma poco brillante , generoso ma svolazzante Menez - epperò troppo più ricca di tecnica e di personalità per arrendersi alla buona volontà di Guarente e soci. Una zuccata di Mirko, al terzo centro del suo campionato a lungo più balordo che esaltante, un’altra di Perrotta, su assist dello stesso Mirko, a premiare, oltre che il gruppo tornato a vincere in trasferta dopo settantasette giorni, il più generoso dei giallorossi e non certo da ieri. Roma spallettiana nel modulo, il nel quale la squadra, hai voglia a battere strade diverse, continua evidentemente a specchiarsi come in nessun’altra formula tattica; ma per nulla spallettiana nel gioco, ormai del tutto evaporato in nome della concretezza, del pragmatismo, quanto di limiti (tecnici, atletici, forse persino anagrafici) oggi vistosissimi.

Una Roma di carattere, insomma, ma di identità sempre labile.Ordinata e concentrata all’avvio (le due occasioni fallite da Vucinic), subito sotto alla prima vera giocata offensiva prodotta dall’Atalanta (gran guizzo di Ceravolo, nel sonno totale di Motta e parziale di Juan), caotica e lenta nella reazione fino allo stacco vincente di Mirko quasi allo scadere del primo tempo; di nuovo vivace nella ripresa, con il montenegrino vicino al gol della domenica ( da trenta metri a porta vuota, a lato di un metro) e in grado di innescare con un assist pennellato la deviazione aerea di Perrotta, saggiamente riproposto incursore centrale da Ranieri, dopo l’inizio da esterno. E poi? E poi quel finale come detto di minestrone francamente più maleodorante che appetitoso davanti a Julio Sergio: mezzora buona, lunghissimo recupero compreso, a reggere con affanno evidente il disperato forcing dell’Atalanta, spezzato da tre isolatissimi spunti in contropiede del solito Vucinic, dello stremato , del redivivo Baptista (almeno per qualche secondo: un’illusione?). Vero che, impatto Juan-Tiribocchi a parte, i nerazzurri hanno spremuto ben poco dal loro forsennato pedalare: su un paio di conclusioni di Doni, quello atalantino, Giulietto nostro è stato come detto agile e sveglio; attorno al formidabile Mexes, a tratti letteralmente insuperabile, Ranieri nel finale aveva aggiunto l’eccellente mestiere di Burdisso.

Ma la generale impressione di modestia, di rattristante limitazione tecnica, di definitiva rinuncia allo spettacolo, ci è rimasta appiccicata addosso fino all’ultimo fischio di Tagliavento, pure lui malinconico come il suo nasone. Questa Roma fatica a divertirci, risultati finalmente decorosi a parte: come se pure in campo fosse ormai immagine e somiglianza di una società dal presente traballante e dal futuro simile a un immenso buco nero. Certo, i tre punti colti su un campo per noi sempre ostile sono pesanti. E quella di ieri, ormai non può certo essere considerato un caso, è la sesta rimonta portata a termine in undici gare di campionato con Ranieri in panchina. Lo stesso allenatore peraltro è venuto in soccorso ai nostri dubbi a fuochi spenti: "Bene il risultato, ma questa Roma è ancora da quadrare".

Vero: nella difesa (22 reti al passivo), che ieri ha incassato gol per la diciottesima volta di fila, un record da brividi. Ma pure nell’attacco, che si accende a intermittenza ed è poco concreto a dispetto del buon bottino generale(24 gol fatti). E soprattutto nella manovra, troppo spesso lenta, affidata quasi esclusivamente all’iniziativa singola, con giocatori che aspettano il pallone tra i piedi, piuttosto che andarlo a cercare negli spazi. Una Roma da quadrare, con ogni probabilità da puntellare. Ma il mercato è da tempo una chimera, toccherà arrangiarsi con quello che si ha, cominciando a sperare nel pieno recupero di Daniele , in vista della decisiva sfida europea col Basilea e di un derby reso rovente dalla crisi infinita della Lazio, a digiuno di vittorie da dodici gare di campionato.



Certo, la classifica, almeno quella, ci rasserena un po’, specie se pensiamo a dove eravamo esattamente

trenta giorni or sono. La sera del 28 ottobre, mica una vita fa, venivamo dalla terza batosta di fila: 1-2 a Udine, dopo le cadute con il Milan a San Siro (un altro, meno meritato, 1-2) e, incredibile ma vero, pure con il Livorno all’Olimpico (0-1), nella domenica del ritorno in panca di Serse Cosmi. Undici punti raccolti in dieci giornate, roba da piangere. Oggi magari non ci sganasciamo dalle risate, ma i punti sono 21, grazie ai dieci rimediati con la dignitosissima serie infilata proprio dopo quello sciagurato viaggio in Friuli: tre vittorie su , Bari e Atalanta, un pari nella tana dell’Inter figlio in gran parte delle sviste, diciamo così, dell’arbitro Rocchi.



Dai margini della lotta alla retrocessione, la banda Ranieri si è rimessa quanto meno in rotta League: da ieri è solo a tre lunghezze quel quarto posto - occupato in condominio da Parma e Sampdoria - sempre fondamentale per dare ossigeno al "virtuoso" autofinanziamento sensiano. Ma la compagnia è ancora fitta e sgradevole, una specie di tonnara che la dice lunga sulla qualità reale di questo campionato di rara mediocrità: un po’ più su restano
(23 punti) e Cagliari (22), non a caso reduci da un weekend da applausi (3-0 nel derby per gli uomini di Gasperini, 2-0 secco alla
per quelli di Allegri); Bari e , per fortuna già mazzolate all’Olimpico, dividono con noi quota 21; alle nostre spalle galleggiano al momento anonime formazioni sulla carta niente male come (20), Udinese (18) e Palermo (17).

Insomma, lunga è la strada per il paradiso, ammesso che così si possa considerare l’approdo all’ingresso di servizio della

League, che dovrebbe essere l’obiettivo minimo per un club che si chiama Roma. Basterà, per arrivare a quel traguardo che di certo non ci fa impazzire di gioia, restare brutti ma buoni?