Ranieri: "Roma, i gioielli rimangono qui"

04/11/2009 09:06


Ranieri è brillante, sicuro di sè, trasparente. Il bagaglio di esperienze accumulato in tutta Europa lo mette a disposizione della squadra della sua à, della quale è tifoso, probabilmente l’ultima squadra di club che allenerà in Italia. Ha preso molte squadre in corsa e le ha fatte ripartire, ha preso la che era una neo­promossa e l’ha portata per due anni in
. Ma riuscire a vincere la sua scommessa con la Roma avrebbe un sapore particolare.




Siamo praticamente a due mesi dal suo ar­rivo a Roma. Ci fa un bilancio di questo periodo? Ha trovato quel che si aspettava, è andata meglio o peggio delle previsioni?

«Mi aspettavo delle difficoltà, questo è in­negabile. Sono già subentrato al Valencia, al Chelsea, al Parma: quando si cambia è per­ché ci sono dei problemi. Ma è anche vero che quando un allenatore sceglie una squa­dra, non si deve tirare indietro. Io non l’ho mai fatto e questo lo dice la mia carriera: non lo farò nemmeno stavolta. E’ chiaro che su­bentrando mi sono posto subito l’obiettivo di rigenerare, dare concetti chiari, capibili, la­vorare sotto l’aspetto psicologico. Giocatori importanti si erano infortunati, quelli recu­perati non avevano avuto il tempo di allenar­si per rendere al meglio».

Il quadro che ci fa non è proprio idilliaco.

«Il mio problema, entrando in corsa, era quello di mettere intanto in piedi una squa­dra che fosse presentabile: l’ho fatto renden­domi conto del fatto che non potevamo esse­re già belli e pratici con una certa continui­tà, come piace a me. In più è venuto a man­care il nostro cannoniere principale, . La verità è che molti giocatori io li devo ringra­ziare per la disponibilità che mi hanno dato nonostante i problemi fisici e il ritmo inces­sante delle partite. Non si può fare a meno di Burdisso, Juan, Mexes, Pizarro, Vucinic...».

A proposito degli infortunati: era così con Spalletti, è così con lei. Alla Roma succede più che altrove, come mai?

«No, non credo che succeda più che altro­ve. E’ così un po’ ovunque».

Beh, prendiamo ad esempio alcune squa­dre: il Milan, l’Inter...

«Non credo. Ora non so per il Milan, sul­l’Inter sono convinto che le vittorie coprano eventuali altri problemi. Noi guardiamo i no­stri. E’ chiaro che con questa incidenza di in­fortuni chi ha la fortuna di star bene deve farsi in quattro».

A chi sta pensando?

«Penso a , sento dire che non è quello che conosciamo. Credo che questo po­vero ragazzo giochi ottanta partite l’anno. Questo vuole anche dire che non si allena mai perché si va in campo ogni tre giorni. Ora i giocatori non sono macchine a cui cambi le pile e vanno».

Sempre a proposito di infortunati: che ci dice di Julio Baptista?

«A lui ho detto che io ricordavo il Baptista spagnolo: un grande giocatore. E che volevo ritrovare quello. Mi ha risposto che aveva problemi fisici da risolvere. Adesso mi ha detto di averli risolti e ci stiamo lavorando. Lui e Cicinho li aspetto sì: non li ho ancora vi­sti. E Cicinho deve fare di più: quando l’ho messo con il ho detto a Perrotta di stargli vicino perché Di Vaio attaccava dalla sua parte».

E Juan?

«Ecco, questo ragazzo lo stiamo monitoran­do in tutto e per tutto. E’ molto diligente, mi pare che avesse questi problemi anche in Germania, evidentemente il suo fisico soffre le tre partite settimanali. Gli stiamo control­lando anche l’alimentazione, lui è disponibi­le, da buon brasiliano ama molto la carne, gliela abbiamo ridotta per vedere se ne trae benefici fisici».

Il campionato: si aspettava già l’Inter a più sette?

«Mi aspettavo un campionato più combat­tuto, anche in vetta. L’Inter è la solita mac­china, anche nelle difficoltà tira fuori risulta­ti positivi. Ma tolti loro, c’è compattezza as­soluta, Noi siamo a pochi punti dalla Cham­pions se guardiamo in alto e dalla retroces­sione se guardiamo in basso».

Parliamo un attimo della . L’anno scorso anche lei era finito sul banco degli imputati: sono arrivati Diego, Melo, Grosso, Cannavaro, Caceres, la squadra bianconera soffre lo stesso.

«Quando una squadra è retrocessa e il tec­nico la porta il primo anno al terzo posto ri­dandole la e poi al secondo po­sto... non ero e non potevo essere io il proble­ma. Alla sai solo che devi sempre vin­cere. Io sto a posto così, ora penso alla Roma. I problemi della devono risolverli altri».




Solo questo: ma Stankovic l’avevate preso?

«Era tutto fatto, lasciamo stare, non fatemi litigare con Blanc».



Sembra ferito, tradito dalla .

«Ferito o tradito? No, assolutamente. Ma mi fermo qui».



Ce lo racconterà quando smetterà di alle­nare.

«Ecco: e allora capirete perché non mi po­tevo sentire tradito».



Ok, allora aveva già detto lei a loro che sa­rebbe andato via. E così?

«Avanti con le domande. Basta ».




Cominciamo con le cose che lei ha detto di recente e che hanno infastidito molti tifosi. Cominciamo da «questa non è la mia Ro­ma ». E’ parso un passo indietro. Lei confer­ma tutto?

«Non sono pentito di quello che ho detto, conta il contesto in cui vengono dette le cose. Provo a spiegarmi: questa squadra non è mia, ma è mia. E’ mia perché ho detto sì e quindi la sposo completamente. L’ho fatto a Parma, nella situazione che c’era, e mi presero per matto. Ma ogni tanto devo ricordare che que­sta squadra non l’ho costruita io, altrimenti qualcuno fa il furbo e se lo dimentica. Ma credetemi, io la Roma la sento mia».

Restando alla parte “non sua”, cosa vor­rebbe per renderla più somigliante al suo calcio?

«Per questo ci sono i giornali che ipotizza­no, i procuratori che pubblicizzano i loro gio­catori. Io lo dirò in società, Pradè sta facen­do ricerche e analisi di mercato. Il centra­vanti? Quello lo sanno anche le pietre che manca. Forte di testa, sì».

Si è arrabbiato con i tifosi per i fischi a Vu­cinic. Nemmeno su questo ammorbidisce?

«Ho letto il fondo del direttore sul vostro giornale, è vero che chi paga ha diritto di con­testare, per carità. La critica serve a cresce­re, l’ho sempre pensato. Ma in questo mo­mento contestare i giocatori significa intimo­rirli, farli diventare ancora più piccoli. A che serve, chi aiuta? E poi Vucinic: si è operato ad agosto e ha saltato la preparazione, quando dovevamo fare un lavoro specifico di recupe­ro per lui, sfruttando la sosta, ha avuto un problema per altri quindici giorni al ginoc­chio, si è operato, lui no. Io lo metto in campo perché ritengo che abbia un valore importante, a cui è difficile rinunciare, e ar­rivano i fischi dopo il gol? No».

Però lei ha vissuto due mesi di Roma: l’esasperazione della gente viene da molto prima.

«Ho capito, i tifosi sono esasperati e fi­schiano. Lo ripeto: abbiamo le forbici... be­nissimo, facciamo il dispetto alla moglie».

Ha detto anche «senza è dura»: una frase che magari dentro lo spogliatoio qual­cuno potrebbe aver dovuto ingoiare. Non crede?

«Ma qualcuno chi? è il nostro golea­dor, equivale a Maradona per noi. Mi spiace, nessuno si può risentire se il tecnico lo met­te sul piedistallo. E se qualcuno lo fa deve cu­cirsi la bocca. Chi non sopporta una verità così non ha carattere, non può giocare a cal­cio. E allora lo metto fuori».

Il famoso centravanti che manca. E se per averlo dovesse mettere in piedi un’operazio­ne di scambio a gennaio e sacrificare qual­che pezzo pregiato?

«No, non vorrei proprio. Anzi io dico che dei pezzi pregiati non partirà nessuno».

Probabile che possa nascere un’operazio­ne alla Burdisso: uno che gioca poco nella sua squadra e può giungere in prestito. Van Nistelrooy le piace?

«Giocatore fantastico, me lo sono goduto da avversario in Inghilterra. Bisogna vedere se sta bene. E poi so che ad agosto non era vo­luto venire. Per gennaio vedremo».

Ma pensando al suo 4-4-2 non sono più gli esterni a mancare alla Roma?

«Guardate che tra il 4-4-2 e il di Spalletti, tanto per dire, c’è poca differenza se vai ad analizzare come ti metti in campo. Spalletti mi pare che giocasse con gli ester­ni ».

Allora, vista l’abbondanza di esterni bassi adattabili, da Motta, a Cassetti, a Cicinho, Riise, Tonetto, non si potrebbe pensare ad una difesa a tre?

«Perché no? Ma questa squadra non ce l’­ha nella testa la difesa a tre. E allora vale la pena cambiare? Non ci sono i tempi che ser­vono per far memorizzare nuovi movimenti. Guardate che io a Cagliari sono stato il primo, nell’87, a cambiare modulo in corsa durante la partita. Non c’è un sistema di gioco vin­cente, vincenti sono i giocatori. Guardate Mourinho: ha voluto Mancini, Quaresma, aveva in testa una cosa, non funzionava e ha cambiato. Io nel cambiai modulo e scelsi di scommettere su Zola: scelsi di far sparire il trequartista dal nostro modulo. Chiunque avessi scelto, sarebbe stato schiac­ciato dal paragone con Maradona e avrebbe perso sempre. Zola faceva quello, ma il mo­dulo era... 3-5-2 e non 4-4-1-1»




Tornando alla , anche loro cercano ancora un’identità tattica.

«Non parlo di però una eccezione la faccio. Io sapevo quante sarebbe stato diffi­cile abituare la squadra a giocare con due punte più Diego. Quella squadra non ce l’ave­va dentro questo progetto tattico. Se ci fossi stato io mi avevano già cacciato».

Invece c’è Ferrara. Ha un buon rapporto con lui?

«Sì, era responsabile del settore giovanile quando io ero lì. Non ha mai fatto l’allenato­re prima di quest’anno. (fa una pausa) Ra­gazzi, per cortesia, senza un filo di polemica: Ferrara comincia ora e per me potrà anche fare bene questo mestiere».

Arriva Inter-Roma, la domanda su Mou­rinho è d’obbligo. Ma questo vostro rappor­to come è davvero? Concorda con Spalletti quando definisce il tecnico dell’Inter un do­matore, che di solito gioca peggio gli scontri diretti ma ha l’abilità di vincerli?

«I rapporti con Mourinho per me sono sempre ottimi. Lo conosco da anni, è un gran­de motivatore, un ottimo tecnico e per tutti noi c’era bisogno in Italia di un personaggio così. Credo anche che obbligarlo a vincere la sia ingrato: non è mica facile».

Ha un rimpianto da allenatore? Forse quella semifinale di tra il suo Chelsea e il Monaco?

«Sì, indubbiamente. Eravamo quattro se­mifinaliste e non c’era una favorita. Il ram­marico è quello di aver sbagliato tre gol a ca­sa loro sull’1-1 e di averne presi altrettanti. Nella gara di ritorno stavamo 2-0, ci fanno gol di mano e l’arbitro non se ne è accorto».

A proposito di arbitri: Milan-Roma ha cambiato il corso delle cose per tutte e due le squadre. Concorda?

«Assolutamente sì, per noi e per loro. Aves­simo vinto saremmo arrivati in zona Cham­pions, psicologicamente avremmo affrontato con un altro spirito anche la partita con il Li­vorno. Ma credetemi, io penso positivo: lo spogliatoio è sano, la squadra è sana, intorno a me vedo gente che ce la sta mettendo tutta».

Il problema è che un anno fa, quando ci venne a trovare da allenatore della , si parlava di Diego o Ribery. Qui le prospetti­ve di mercato sembrano molto diverse.

«E mica è sempre festa. Io con Abramo­vich facevo il fantacalcio ed era molto diver­tente, credetemi. Ma bisogna saper navigare nel mare calmo e in quello in burrasca. Io la storia non la dimentico: prima di Spalletti la Roma si salvò alla penultima giornata dopo aver cambiato quattro allenatori. E quando le venne bloccato il mercato, come è adesso per il Chelsea, il capolavoro di quel gruppo, fu lavorare sul campo per farsi venire le idee giuste. Penso sempre alla squadra senza cen­travanti: Spalletti se l’è trovata in una parti­ta, mi pare fosse contro la Samp. Facendo di necessità virtù giocò una partita senza punte e gli sbocciò in mano la Roma meravigliosa che poi ha incantato tutti».

Guardando i valori assoluti, tolta l’Inter quante squadre sono meglio della Roma?

«Sui valori assoluti incidono sempre varie componenti. Comunque noi vediamo che ci sono club come , Palermo, , Udinese, che investono per crescere. Però il ha cambiato tecnico pur spendendo 50 milioni: significa che spendere e far bene non è una equazione. La nostra rosa è buona, con le carenze dette, ma è buona. E io devo essere il garante del fatto che questa squadra giochi sempre con il coltello tra i denti. Fin­chè lo farà la difenderò ovunque. Avevamo giocato male con il Milan? No. E con l’Udine­se? Nemmeno. Con il Livorno sì e l’ho detto».

Il ginocchio di . Da tecnico ha qualche rimpianto sui tempi dell’operazione?

«Questa domanda andrebbe fatta la dotto­re. Io posso dire che situazione è stata moni­torata sempre di comune accordo, la decisio­ne era quella di portare questo ginocchio al punto di massimo sforzo per vedere come reagiva. Quando Francesco mi ha detto “mi­ster, stavolta si è rotto”, mezzora dopo era operato».

La dottoressa Sensi sul futuro della Roma almeno con lei è stata chiara?

«Molto chiara, direi. E ha anche sempre detto che se qualcuno vuole comprare la Ro­ma lei è pronta a cedere. Io quando devo comprare una cosa tiro fuori i soldi e lo fac­cio. Tutto qui. E a me poi queste cose non in­teressano: io ho la strada dritta, il prato ver­de e una squadra da far rendere al massimo».

Ha parlato di . Ci perdoni la do­manda: bisogna crederle?

«Ecco, il mio è stato un aiuto perché la classifica se la vedi in un modo ci mette a po­chi punti dalla e nell’altro a pochi punti dalla retrocessione. Ho voluto dare un messaggio di speranza che un senso ce l’ha. L’aiuto che chiedo ai tifosi è questo: noi sia­mo in una fase per cui, se loro ci soffiano die­tro il loro amore, potrebbe succedere qualco­sa di bello».

In questa storia con la Roma che compie due mesi, lei ha usato anche il bastone con qualche giocatore. E’ servito?

«Beh, uno lo sapete. E’ Menez. Con il Cska di Sofia sbagliava e si fermava. Negativo per i compagni e per l’arbitro che alla fine lo ha ammonito».

Ha capito?

«Penso di sì, l’ho trattato anche male. Ma certe cose non le ha ancora dentro di sè. Sta a lui capire che ha in mano il suo destino».

Ma se usasse la testa che giocatore potreb­be diventare?

«Stupendo. C’è poco da dire, lo vedete tut­ti: è elegante, bello, deve diventare più pra­tico ».

Domani si gioca in Europa League: c’è chi pensa che mollarla potrebbe agevolare il cammino della Roma in campionato. Lei che dice?

«Potrebbe essere un discorso da prendere in considerazione, ma mi secca uscire, io vo­glio vincere pure se gioco a calcetto. E poi bisogna andare avanti per l’Italia, per il po­sto in Europa»



Ha consigliato lei Montali alla Roma?

«No, assolutamente».



Ma può agevolare il suo lavoro?

«Lui è un ottimizzatore, mi darà una mano. Adesso sta studiando la situazione, più avan­ti prenderà le sue decisioni».

Cosa le dicono i tifosi quando la incontra­no per strada?

(sorride) «Mi chiedono di farli correre, spe­ro che mi abbiano cominciato a capire».



Ranieri ct: ci ha mai pensato?

«Non credo. Ho detto che mi piacerebbe allenare una Nazionale, figuriamoci la no­stra. Ma non credo toccherà a me. Magari a Capello. Comunque dopo la Roma non alle­nerò in altri club in Italia. Questa è l’idea: poi mai dire mai. Comunque non ho rimpianti ad avere accettato la Roma: nessuno è profeta in patria, lo so. Gli stimoli e l’adrenalina mi piacciono».

La squadra che gioca il miglior calcio in Italia?

«La Sampdoria, direi».



Le piace Pazzini?

«Molto».



La squadra e la à che ricorda con mag­gior piacere da quando allena?

«Il Cagliari, è stato il mio trampolino»



Certo che lei Aquilani non riesce proprio ad allenarlo...

«Lo volevo a 16 anni al Chelsea, lo volevo l’anno scorso alla . Volete chiedermi se mi piace? Non spariamo sulla croce rossa»



Lei appena arrivato ha detto: scordatevi lo spettacolo. Cosa intendeva?

«Che lo spettacolo della Roma di Spalletti non poteva più esserci, lo stesso Spalletti, che conosceva alla perfezione il gruppo, non lo trovava più. O si trovano i cloni di quei gio­catori o si cambia».

Ecco, a proposito di cambiare, forse an­che nel suo centrocampo ideale ci sarebbe­ro giocatori più fisici.

«Guardate che Burdisso ha detto ai compa­gni che all’Inter il centrocampo non valeva il nostro per qualità. La differenza è che con i loro chili come passi ti sollevano da terra».

Chi vince la ?

«Io devo tifare per le italiane. Ma se toccas­se a Carletto e al suo Chelsea avrei piacere».



A proposito, dice che nel suo fu­turo vorrebbe che ci fosse la Roma, un gior­no. Lo vede come suo erede?


«Sarei felice per lui, sul serio. (poi gli scap­pa da ridere) . E sarei doppiamente felice perché ha quattro anni di contratto lì. Signi­ficherebbe che io faccio bene e resto qui per quattro anni».

Tra un mese il suo primo derby.

«Speriamo bene... Comunque non sarà una partita come le altre. Da tifoso andavo in cur­va Sud e non è detto che un giorno non possa tornarci».

Ma intanto domenica c’è l’Inter.

«Potrebbe essere la partita della svolta. Certo vincere con il Milan sarebbe stato di­verso per la classifica. Ma questa partita può darci convinzione dei nostri mezzi, ai quali credo. Io però prima devo pensare al Ful­ham ».