16/12/2009 10:58
Ne consegue, per i cultori di questa bislacca numerologia calcistica, che il giuoco espresso dalle due Rome sia lo stesso. Secondo me, no. I numeri in campo sono come i pezzi disposti sulla scacchiera: a muoverli, dietro, cè un manovratore, col suo proprio cuore e proprio cervello. Per cui, quando Ranieri dice che non farà il giuoco di Spalletti, non mente. Dice il vero, anche perché sa che i calciatori-pezzi da lui mandati in campo si muoveranno non secondo lo spirito dei numeri , ma secondo la carica che lui, il manovratore, gli ha previamente instillato. Mi trovo ora qui a dover confessare tutta la mia congenita avversità al calcio-secondo-i-numeri, che francamente detesto. La penso esattamente come Fulvio Bernardini quando irrideva ai numerologi, argomentando in questo modo: Dàtemi un portiere che para il parabile, un uomo in mezzo al
campo a scandire i tempi e uno là davanti che la butta dentro, e il gioco è fatto, altro che numeri!. Lo so, è una visione datata e restrittiva del calcio: i numerologi up-to-date, loro che aspirano a sentirsi come Isacco Newton o Peano, se ne sentono personalmente immiseriti. Guai a deludere Narciso.
Ma torniamo a noi, a questa nostra (si fa per dire) Roma. Che è la Roma di Ranieri. Una Roma che a me piace. La qualcosa, ne conconvengo, lascia il gran pubblico del tutto indifferente. Di maggior rilievo potranno invece apparire le ragioni che, a mio giudizio, sostengono il nuovo disegno del tecnico testaccino, rispetto allormai archiviata predicazione spallettiana.
Claudio, al gruppo di Trigoria, si è avvicinato, a dispetto del suo nome, con passo non claudicante, ma franco e deciso. I giocatori, li ha presi di petto, secondo lo stile romano dun tempo, un certo latinorum che i ragazzi tutti, compreso lo scandinavo Riise, hanno capito. E stata, quella di Ranieri, una pratica di parola, non di numeri. I ragazzi, che di conto non sapevano (o non volevano) fare, son corsi dietro allesplicito linguaggio del tecnico, facendolo allistante proprio. Così si spiega, a mio giudizio, il rapido, repentino rinascere di un gruppo che pareva se non morto, sedato.
Ma cè stato anche dellaltro. Cè stato Montali. Sì, Gipì, proprio lui. Io (e di ciò faccio ammenda totale). Seppur amabilmente, fin dal suo primo apparire sulle scene per così dire pacelliane, mi trastullai a ironizzare intorno alle virtù e ai talenti di un nuovo arrivato al quale, stipendio non stratosferico a parte, veniva generosamente
elargita la risibile qualifica di ottimizzatore. E qui, il Montali, si è mostrato bravissimo. Partendo da una carica in pratica inesistente, buona tuttal più a incantare una platea quanto meno arrendevole è riuscito, in ambiente a lui del tutto estraneo (se non ostile), a ritagliarsi un ruolo di assoluta e pratica efficienza. Divenendo, con e per Ranieri, il miglior collaboratore alla ricostruzione di quello spirito di squadra, che in ogni disciplina agonistica, è il sale della sapienza e del valore.
Per quali vie si è mosso Gipì? E presto detto: per le stesse vie della parola, battute da Claudio. Ma come è possibile mi si dirà - , se luno è romano e laltro emiliano? Possibilissimo, dal momento che Montali, come emiliano, appartiene alla Marca di Romagna, una terra in cui , è il nome a dirlo, Roma parla da tempo. Una terra in cui anche il Duca Valentino, di padre spagnolo e coi suoi discutibilissimi mezzi, riuscì a farsi capire.
Be, ora, ve la dico tutta: il genio comunicativo di Montali lho scoperto, giusto poche sere fa, ascoltando una sua esternazione post- partita a Sky. Parlava così bene, in un fluido e morbido e correttissimo italiano, che ne sono rimasto incantato. Mi son detto: ecco la voce che a Trigoria mancava da tempo immemorabile. Parlava
così bene, il Montali, che un certo punto gli ho perdonato perfino uninsensata enormità, quando ha detto:La Roma dispone di una grande società alle spalle.
Lasciamo andare, in questo mondo, più importante di quel che si dice, è come si dice. Tra forma e contenuto, uno della mia razzaccia starà sempre con la prima. Non trascuriamo poi lindubbia influenza che il raffinato linguaggio dellottimizzatore parmense deve aver avuto sul gruppo dei calciatori. Non crediate che
i giocatori, usi a trattar il pallone meglio delle parole, non siano nel loro intimissimo degli spietati snob. Tuttaltro: non sapete come ascoltano, come giudicano e come ironizzano! Raggiunta che hanno la ricchezza in banca, questi ragazzi amano essere anche rappresentati da personaggi allaltezza. E in questo, Gipì dallore rotundo è perfetto: li fa sentire in cielo. Ragion per cui io la vedo così -, il suo eloquio, accanto a quello più diretto e operativo del trainer, si situa congruamente alla base dellultimo rinascimento romanista.
A qualcuno, o a molti, non so, queste mie ottimistiche e particolari opinioni intorno alle più recenti vicende romaniste, potranno apparire in contrasto con una mia già esternata, pessimistica, visione dello stato della Lupa. Tranquilli: non cè contraddizione se si osserva che va dato a Dio (Ranieri-Montali) quel chè di Dio, e
a Cesare (Società) quel chè di Cesare. Non è un caso, del resto, che un grande saggista, un secolo fa, ebbe a definire il matriarcato la- religione di Cesare.