Tremila km a est della Roma

12/12/2009 11:17

E, comunque, lo Zenit si era già fatto sotto pesantemente, in estate. Da un russo all’altro, da Abramovich a Dyukov, soprattutto da un patron petrolifero all’altro, ammesso non appaia uno scherzo avvicinare solo per un istante Gazprom a Italpetroli. L’avventura di Spalletti si sposta a est dell’Europa, dove corrono le materie prime e anche i dollari, che da un pezzo hanno divorato i rubli e molto di quanto apparteneva a un mondo che non c’è più Pare un segno del destino che tutto avvenga proprio quando la Roma di Ranieri, fatte le debite proporzioni, cominci ad aggredire le certezze degli spallettiani più inguaribili (anche noi, perché no?): la vittoria nel derby, le altre tre ottenute in campionato - più il pari a San Siro opera dell’arbitro Rocchi, prima che di Mourinho - e le due non meno significative su Fulham e Basilea in Europa League. Sia pure senza più farci spalancare la bocca per lo spettacolo, la Roma si è rimessa in carreggiata. Recuperando proprio i cocci lasciati sul terreno da uno Spalletti ormai scaricato dal gruppo. La Beneamata rifiata, e ci fa rifiatare, e l’uomo che l’aveva portata in alto, in Italia e in Europa, saluta la à cui si era profondamente legato, ben al di là degli alti bassi spesso ispirati dal suo pessimo carattere. A noi in fondo spiace, ad altri magari molto meno. Sta di fatto che una parentesi, per molti versi bellissima, si è chiusa per sempre. Lo champagne del toscano ombroso quanto geniale è stato soppian ato dal pane e salame del testaccino concreto ed esperto. Che sia meglio o peggio lo dirà il tempo. Per ora è così.

La differenza, del resto, la determinerà soprattutto il destino della proprietà, che permane assolutamente in bilico.Ranieri sta facendo oggettivamente il massimo. Ma senza nuove risorse, il massimo rischia di fare presto rima con sopravvivenza. Anche in giorni come questi, all’improvviso di nuovo vivacizzati dal sogno di un mercato un po’ più vicino alle ambizioni del popolo tifoso, di certo sufficientemente lontano dalle miserie di luglio-agosto. Si parla finalmente di un centravanti, del tipo tosto invocato dai tempi del tramonto di Batistuta, la stella cometa del terzo scudetto. Rosella lo ha promesso a Ranieri, che sa come nessun altro quanto sarebbe importante far tirare il fiato a , di tanto in tanto. In ballo due nomi quanto i dubbi che fatalmente si portano appresso: Toni, gigante forse logoro ma chissà se non rigenerabile, tra le mani di un tecnico che qualche recupero mir coloso lo ha già compiuto (Perrotta su tutti). E Adriano, sicuramente turbato dai problemi che sappiamo, altrettanto certamente dotato di risorse fisiche e tecniche di livello eccezionale. Due marcantoni Doc, almeno per chili e centimetri, che a Trigoria ci dicono a oggi con pari possibilità di vestire la maglia giallorossa di qui a poche settimane. Ovvio, alle solite poco rincuoranti condizioni: costo del cartellino praticamente zero, ingaggio come da parametro consolidati (2,5 milioni più premi), incroci di mercato immaginabili (se sui due si muove un Inter o un , tanto per fare due nomi neanche troppo a caso, addio sogni). Però - sarà il Natale che spinge alla bontà e alla comprensione, sarà il derby appena vinto, sarà la voglia di tornare a parlare di calcio e magari a illudersi col pallone - il tifoso romanista prova a riprendere vita, anche nella sua componente meno propensa a sognare all’ombra della gestione Sensi. Toni o Adriano per ripartire, quanto meno per provarci, in attesa di quello che s rà, quando le troppe nebbie sul futuro cominceranno a diradarsi. Sarebbero piaciuti molto anche a Spalletti, specie il brasiliano. Ma da oggi Spalletti è ufficialmente il passato.

La Roma volta pagina parallelamente al pilota che per tre anni almeno l’ha guidata con la spericolata brillantezza di un Senna, di uno Schumacher. Noi proviamo a riaccalorarci per il presente, mentre il tecnico che ci ha fatto riscoprire il piacere del gioco affronta una nuova sfida, a diverse ore di aereo da Trigoria. Oltre a sovrapporre al ricordo dell’Olimpico l’immagine del Petrovskij, il piccolo stadio (poco più di 21 mila posti) che pare galleggiare sull’acqua del fiume Malaja Neva, Zar Luciano imparerà presto, se ne avrà voglia, a frequentare i saloni dell’Ermitage, piuttosto che quelli dei Musei Vaticani, la Chiesa del Salvatore sul Sangue Versato, invece che San Pietro. Magari si affaccerà al Baltico, piuttosto che al mare di Ostia, che per quasi quattro anni ha praticamente avuto sotto casa. Di certo si occuperà del campio ato russo, la Vischaya Liga, che si è chiusa da poche settimane con la vittoria, la seconda consecutiva, del Rubin Kazan, 50 punti in 25 partite sui 49 ottenuti dallo Spartak Mosca e soprattutto sui 46 dello Zenit. Il suo nuovo patron non ha la silhouette né tanto meno la familiarità di Rosella Sensi. Per affrontarlo Luciano si è preparato con cocciutaggine. Ha studiato l’inglese (era ora...), ha convinto i suoi collaboratori a sfidare i troppi gradi sotto zero di San Pietroburgo, ha scommesso sulla sua capacità di affrontare un mondo assai più lontano di tre, quattro ore di aereo. Il suo nuovo datore di lavoro da ieri si chiama Aleksandr Dyukov, e prima ancora che il numero uno dello Zenit è il presidente di Gazprom, il colosso russo del gas che ha da tempo aumentato il suo peso anche nel campo del petrolio. Uomo vicino al Cremlino, e in particolare a Putin, è stato responsabile del porto marittimo di San Pietroburgo e poi presidente della Sibur Holding, azienda leader in Russia nel settore petrolchimico. Ha 42 anni (li ha compiuti solo una settimana fa), una faccia da azzimato direttore di banca, disponibilità finanziarie pari alla sua ambizione di utilizzare lo Zenit come passepartout nei confronti dell’Occidente. Gazprom è un colosso mondiale. Controlla il 16 per cento delle riserve mondiali di gas e con l’acquisto della Sibneft (società petrolifera di Abramovich fino al 2006) è diventata anche il terzo possessore di giacimenti petroliferi del mondo, dopo l’Arabia Saudita e l’Iran. La sua capitalizzazione azionaria, a maggio 2006, era pari a 270 miliardi di dollari statunitensi. Una situazione di bilancio, passateci la battuta, leggermente migliore rispetto all’Italpetroli. La mastodontica società guidata da Dyukov collabora da tempo con l’Eni e le grandi compagnie americane. Lo stesso presidente ha incontrato a più riprese Bush, Obama e anche Berlusconi: ma, da buon russo, aspira a entrare stabilmente nel salotto buono dei top-manager a livello planetario, a prescindere dai formidabili fatturati del suo colo so. Sogna di diventare famoso per lo stile, il modo di porsi e di essere ammirato, prima che per l’immensa sostanza del suo potere e della sua ricchezza. Ai russi, oltre che essere, piace terribilmente apparire. Il calcio in questo senso può dargli una visibilità straordinaria.

Ha scelto Spalletti personalmente, affascinato dal suo gioco, dalla fama maturata dall’allenatore alla guida della Roma. Il suo sogno è quello di vedere lo Zenit in cima all’Europa non solo per la sua oggettiva ricchezza, ma per la spettacolarità della sua espressione tecnica. In questo senso, il club dell’ambiziosissimo Dyukov sin qui non ha mantenuto le promesse. Un anno e mezzo fa, a fine agosto 2008, il team russo ha clamorosamente vinto la Supercoppa europea, battendo in finale il Manchester United di Ferguson. Poteva essere l’inizio di un’epopea, ma l’approdo occidentale del club di San Pietroburgo si è presto rivelato pieno di insidie. Non tanto per la prestazione né carne né pesce offerta in della stagione pass ta (ma il girone era tosto, con Real Madrid, e Bate Borisov), quanto per la brutta storia di sospetta corruzione, da parte della mafia russa, in occasione del sonante 4-0 rifilato al Bayern Monaco in Coppa Uefa, a maggio 2008. C’è anche quella macchia da cancellare, caro Luciano, tremila chilometri a est di Trigoria. Ti seguiremo con simpatia. Meno di quanto faremo con Ranieri, sia chiaro. In bocca al lupo, comunque.