Due stilettate (e un harakiri)

07/01/2010 10:28

Pesantissime le responsabilità della squadra, fregata dalla furbizia dell’erede di Bruno-mundiàl sfuggita all’arbitro e sportivamente confessata dallo stesso Bruto-Daniele, ma troppo flebile – e malmessa – quando si trattava soltanto di controllare con un minimo di determinazione l’assalto di avversari stremati. Ma non irrilevanti, crediamo stavolta, anche gli errori di Ranieri, che ha prima proposto una formazione lenta (il richiamo di preparazione?) e probabilmente male assortita in attacco e l’ha poi corretta peggio, con tre cambi finali tutti implacabilmente bocciati dal campo. Se poche colpe ha aver puntato sul velleitario Menez, comunque incapace di garantire più sostanza del già inguardabile Baptista, il tecnico ha sbagliato in pieno, a nostro avviso, nel rinunciare al movimento di Vucinic, prezioso anche nello spingere Agostini al fallo da rigore, per la macchinosità di Toni, entrato quando la Roma agiva ormai esclusivamente in contropiede. Ancora più sballata la scelta di rimpiazzare Pizarro, fin lì impeccabile nella regia e nel congelamento del pallone (e sportivissimo nel non accentuare lo stordimento per il petardo che lo ha sfiorato dopo il riposo: poteva starci lo 0-3), a favore della corsa di Brighi, che ha finito per disputare dodici minuti né carne né pesce, in mezzo a una squadra distratta dalla convinzione di avere in pugno la sesta vittoria nelle ultime otto gare di campionato.

Alla fine, comprensibilmente turbato dal risultato, Ranieri ha parlato di match dominato dalla sua squadra. Analisi a dir poco azzardata, vista la reale qualità di gioco espressa nel complesso dalla Roma e anche dalle crude cifre della partita: neanche lo straccio di un tiro nello specchio di Marchetti per la bellezza di 50 minuti (il primo lo ha scagliato Pizarro dal dischetto), con la prontezza di Julio Sergio nel frattempo messa a dura prova da Lopez, Lazzari e Cossu e la traversa scheggiata da Larrivey un quarto d’ora dopo il raddoppio di Perrotta. Più ancora delle conclusioni a rete, sempre scarsissime, ha del resto colpito subito, in negativo, la difficoltà della Roma di cambiare ritmo, di affondare i colpi, trovando sbocchi concreti al sincopato tic-toc del possesso palla. Rinunciando abbastanza a sorpresa all’atteso lancio di Toni dal primo minuto, per ragioni che peraltro non ci permettiamo di discutere (rispetto del gruppo da tempo impeccabile o oggettiva constatazione del reale stato di forma del panzer appena arrivato?), Ranieri, al di là della sfiga finale, non è sembrato azzeccare la mescola giusta nell’impostazione né nelle scelte individuali. Mai andati a buon fine gli incroci richiesti a Vucinic, generoso quanto poco incisivo, e il fantasma di Baptista, ieri bestiale solo nel perdere il pallone e nell’appoggiarlo puntualmente nel modo più banale, se non a casaccio, la Roma ha operato a lungo solo per vie centrali, cacciandosi in un imbuto senza sbocchi, sbattendo le corna contro il muro eretto dai più che discreti centrali di Allegri, Lopez e Astori. Il pessimo assortimento offensivo ha probabilmente ingigantito anche le magagne di giornata del rombo di centrocampo, più che sciatto e impreciso – ahinoi – nel decentrato .

Forse Toni sarebbe stato più utile nella prima fase, piuttosto che nel finale. Di sicuro sarebbe stato al solito decisivo nell’aprire varchi alle percussioni di Perrotta, di gran lungo il miglior incursore a disposizione. Non a caso proprio il trequartista giallorosso è arrivato a firmare un gran gol, quello della nostra ancora più grande illusione, in cima all’unica azione di autentica nitidezza: splendida l’iniziativa di Taddei nel bersi la difesa cagliaritana, fintare il tiro e toccare corto per il compagno, ma sontuoso – e, passatecelo, molto spallettiano – l’inserimento vincente di Perrotta. Lì, sul 2 a 0 e con soli 25 minuti da giocare, abbiamo sinceramente pensato che il match fosse finito. Già pronti, a bilanciare i dubbi come detto sollevati dalla constatazione del gioco espresso, gli inni al micidiale pragmatismo della Roma di Ranieri, ancora una volta brutta ma buona, comunque a un passo dal primo trionfo del 2010. E il brutto invece doveva ancora venire, forse annunciato dalla citata fiammata di Larrivey, di sicuro costruito dalla valanga di errori che ha finito per schiacciarci. Quella conclusione orrenda, sulla quale insistiamo pesa anche la grave svista di Rocchi, non ridimensiona le ambizioni di una squadra che – va ricordato – ha portato la serie positiva avviata il 1° novembre col 2-1 sul a otto gare di fila, undici compresa l’Europa League: cinque vittorie e tre pareggi in campionato, tre successi in coppa.  Ma la ferita aperta dalla doppia pugnalata di Bruto Conti, sempre spinto dalla sua professionalità ma anche dai suoi innegabili rancori a disputare contro la Roma una personale sfida della vita, va suturata in fretta.

I risultati di ieri confermano brutalmente, semmai ce ne fosse bisogno, quanto sarà dura piazzarsi tra le prime quattro, in un campionato che sembra aspettare sempre, purtroppo non solo noi: se il Parma sconfitto dalla è rimasto indietro di un punto, il , che con Mazzarri in panchina di risultati utili consecutivi ne ha infilati undici, è saltato da solo al quarto posto; la , che deve recuperare una partita, al pari di e Bari, ha preso a pallonate Curci e si è rifatta sotto; il Palermo (ora a quota 26) ha comunque colto un buon risultato sul campo della Samp. Lasciando da parte i sogni di fine anno – l’Inter è sempre più lontana: restiamo coi piedi per terra – bisognerà capitalizzare al massimo il fattore-Olimpico nei prossimi due impegni (sabato 9 contro il Chievo, il 17 contro il ) per cancellare l’amarezza, e il danno, dei due punti lasciati incredibilmente a Cagliari.