La follia di Doni da Rotterdam

14/01/2010 09:01

 

Due giorni prima, stesso set, il soggetto in questione si era esibito dopo appena dieci minuti in un’uscita manesca e temeraria fuori dall’area.

 

Per questo, cacciato dall’arbitro e fischiato dai suoi stessi tifosi. Era al suo rientro dopo lunga e sofferta quarantena. 55 ore e pochi minuti dopo, il suddetto Doni replicava il gesto, spingendosi questa volta fino a quasi

metà campo, aggiungendo alla bravata uno spericolato dribbling che metteva a repentaglio le coronarie del sessantenne Claudio Ranieri, allenatore della squadra. La stessa dissennata urgenza lo aveva spinto più di quattro anni prima a versare 18 mila euro di tasca propria per conquistarsi la libertà di venire a Roma.

 

Il quadro clinico è chiaro: siamo al cospetto di una follia recidiva e irreversibile. Siamo anzi all’essenza stessa della follia. Il non saper collocare tra sé e i propri slanci una qualunque forma di censura, ma nemmeno l’opacità paralizzante del ricordo. Il non saper tradurre l’esperienza dolorosa in lezione e dunque in struttura.

 

Doni aveva tutto l’interesse a starsene quatto tra i pali, come fa del resto il suo ben più savio collega rivale Julio Sergio, lasciando ai suoi compagni la gogna dell’errore e delle sue conseguenze. Facile prevedere che, nella sua follia sottratta al calcolo, questo ragazzo dalla vocazione suicida andrà incontro a imprese e incidenti di ogni tipo. Per le prime sarà ignorato, per le seconde insultato. Conclusione. Doni, un soggetto tutto da amare.