Liti, maghi, fuochi, insulti. Cosa vuol dire la Lazio in B

09/02/2010 10:18

Stacco gli occhi dal libro e risento la voce di Galasso: «Cosa vuol dive laziale pev sempve?». La narrazione di questo capitolo, è però dedicata alla stagione 80/81, quando la Lazio in B c’era già. Non vale, a me serve l’anno di grazia 84/85 e per fare questo devo operare un salto, sino alla pagina 169, è lì, che , debbo dire con grande auto-ironia, inizia la narrazione di quella inarrestabile marcia verso la B, partendo proprio dal derby di Coppa Italia contro la Roma: «Con il pareggio sia noi che la Roma avremmo superato matematicamente il turno. (…) Prima dell’incontro improvvisammo una riunione: “La qualificazione l’abbiamo conquistata nelle gare precedenti. Non ha alcun senso buttarci allo sbaraglio, senza tener conto delle conseguenze in caso di sconfitta. La partita va gestita con accortezza e con grande intelligenza”. “Nun me frega gnente. Li dovemo sfonna’. Oggi è un’occasione unica” ribatté con tono borioso un collega». Per dire come finirà non ho bisogno di continuare a leggere, lo ricordo perfettamente: Roma–Lazio 2-0, reti di Iorio e Di Carlo. La Lazio, grazie alla concomitante vittoria del sulla Pistoiese uscì così dalla Coppa. Torno invece a leggere per scoprire quale fu la reazione del presidente laziale: «Al termine della partita Chinaglia entrò urlando nello spogliatoio. Preso dalla collera, Giorgio impugnò una bottiglia d’acqua minerale e la scaraventò con tutta la forza e la rabbia contro la parete. I frammenti di vetro schizzarono per la stanza rischiando di ferirci».

La Lazio di quella stagione, era una polveriera. Giordano in lite con Manfredonia, D’Amico con Giordano, Laudrup chiuso in un ostinato mutismo, Batista in guerra con il mondo, sino a decidere di allenarsi da solo nel parco di Villa Ada. Dopo due sole giornate salta la panchina di Carosi (ribattezzato dai suoi giocatori “Er mago dei pedalini” per la mania di infilare nei calzini dei giocatori pezzetti di carta con simboli propiziatori) e Giorgione Chinaglia richiama da New York nientemeno che Juan Carlos Lorenzo. Renato Ziaco, storico medico bianco-celeste, che sarebbe venuto tragicamente a mancare proprio in quella stagione,

dimostrò di sapere già come sarebbe andata a finire e sentenziò: «Abbiamo toccato il fondo. Non c’è peggior pazzo di un vecchio pazzo. E Lorenzo è un vecchio pazzo. Neanche una massiccia dose di penicillina ci salverà dalla serie B». Fu così che mentre la Lazio iniziò a perdere gare su gare, negli spogliatoi dell’Olimpico Lorenzo accendeva fuochi propiziatori per scacciare gli spiriti maligni: “uno per ogni stanza”. Quando i giocatori, finito il riscaldamento entravano ad indossare le proprie maglie l’aria era irrespirabile. Il rapporto tra Lorenzo e i suoi giocatori divenne ben presto straziante: Continuava a urlare: “Loco, paralitico, deficiente mental”. A Storgato ripeteva: “El frac. Se tolga el frac della ”. A Laudrup: “Danese del cazzo. E cojoni, tira fori e cojoni”. Podavini era: “El malato mental”. D’Amico, Torrisi e Vinazzani erano, per Lorenzo, ex calciatori, dei pensionati”.

La settimana prima della gara contro la Sampdoria, il tecnico pretese che Filisetti, che doveva marcare Trevor Francis, perdesse sei chili per pesare come l’attaccante doriano. Filisetti per una settimana mangiò passato di verdura e poche foglie d’insalata e fu costretto a sedute d’allenamento durissime. A fine del primo tempo, il difensore fu sostituito, non riusciva più a stare in piedi. Quando arrivò il giorno del compleanno di Lorenzo

qualcuno propose di regalargli: «na cosa fine, delicata. Na lapide». Esonerato Lorenzo, la squadra finì al duo Lovati – Oddi e terminò il torneo in ultima posizione dietro a Cremonese e Como. Potrei continuare all’infinito, ma non ho più spazio. Mi chiedo se quanto scritto basterà a capire: “Che cosa vuol dive essere laziali pev sempve?”.