24/02/2010 09:52
lutopia è destinata a compiersi. Una squadra di calcio ha lobbligo di guardare sempre avanti e oggi nel mirino, scaramanzia o no, ci sono i milanesi. Tra i nostri che si affannano cè anche, Nicolas Burdisso, che probabilmente pagherebbe di tasca propria per veder coronato da un incredibile successo il folle volo. Si capisce, largentino non ha ancora fatto in tempo a sfilarsi di dosso la maglia nerazzurra e da buon ex, regalare un bel panettone farcito di rimpianto ai suoi ex dirigenti (non certamente al presidente Moratti con cui il campione olimpico ha mantenuto un rapporto eccezionale maturato nel 2005, quando il patron dellInter dimostrò con i fatti di essergli vicino in una delicata questione di carattere personale) è desiderio più che comprensibile.
Del resto abbandonare la beneamata per trovare una nuova dimensione (e spesso gloria) nella capitale è destino che ha accomunato diversi assi della storia romanista. Anzi, per dirla tutta, ci siamo divertiti a costruire una piccola formazione (orfana solo del portiere) che più o meno potrebbe schierarsi così:
Burdisso, Allemandi; Santarini Bernardini, Nyers, Prohaska, Pizarro, Peirò, Angelillo, Delvecchio. Niente male vero? Ad occhio e croce una squadra che potrebbe dire la sua contro qualunque compagine dei giorni nostri facendone merenda, come dice sempre il buon Amadei (che ahinoi fu costretto al percorso inverso, abbandonando la bella Frascati e il sole capitolino per svernare sotto la Madonnina).
Qualcuno dei predecessori di Nicolas è riuscito però a far mangiare la polvere al Biscione? Il caso più clamoroso è rappresentato da Herbert Prohaska. Laustriaco arrivò da Milano con una Coppa Italia in bacheca, scaricato come un divano ormai logoro. Dino Viola si trovò ad ingaggiarlo dopo che Ettore Viola e Previdi erano inutilmente stati inviati in Polonia per mettere sotto contratto Boniek, dopo che Francesco Rocca e il vecchio Nordhal avevano seguito lo svedese Nilson, dopo che Perinetti era volato a Parigi per battere la pista Susic, dopo che altri emissari di fiducia erano stati sul punto di strappare un contratto a Cerezo e dopo, infine, che la notte della chiusura del mercato (il 1 agosto 1982) saltasse fuori il nome del peruviano Uribe.
Prohaska aveva dunque avuto il potere di scontentare tutti, tranne lInter, felicissima della possibilità dingaggiare il tedesco Muller e Nils Liedholm, che sapeva di aver aggiunto al suo centrocampo unaltra pedina fondamentale. Lumachina si trovò contro i vecchi compagni già il 24 agosto in unamichevole precampionato. Allo Stadio Flaminio, i Lupi simpongono per 4-3, e lui segna dopo appena 2 dal fischio dinizio mettendo in rete di testa un traversone di Bruno Conti. Inutile dire come terminerà il campionato 82/83.
Legati al volto beffardo di Helenio Herrera sono invece i volti di Antonio Valentin Angelillo e di Joaquin Peirò. LAngelo dalla faccia sporca, venne tormentato dal Mago per la love story con Ilya Lopez, tanto che ad un certo momento largentino scoppiò: «Voglio tornare a casa mia. Voglio andarmene. Fino a ieri ero sicuro che sarei passato al Boca Juniors, a Buenos Aires. Meno soldi ma anche meno umiliazioni (Herrera lo costringeva ad allenarsi con i ragazzi dellInter. nda) e la speranza di sposare Ilya». Nellestate del 1961 Angelillo arrivò invece alla Roma. Alla stazione Termini si recò ad accoglierlo il dirigente Scapigliati a bordo di una Giulietta bianca. Un fotografò gli urlò: «Nun te preoccupà! Noi te lassamo in pace!». LInter di quegli anni era troppo grande per mangiare la polvere, eppure, con Angelillo in campo i nostri si presero il lusso di vincere allOlimpico per 3-0 e nella Coppa delle Alpi di rifilare addirittura cinque reti ai malcapitati nerazzurri.
Per Peirò la storia è completamente diversa. Herrera lo aveva avuto con sé quando lo spagnolo militava nelle giovanili dellAtletico di Madrid. Gli riconosceva classe, velocità e cambio di ritmo e lo considerava un dribblatore emerito. Ritrovandolo alla Roma gli affidò la fascia di capitano e lo fece diventare il fulcro del suo gioco. Peirò ricambierà conquistando una Coppa Italia, che sarà la prima anche per il giovane Santarini, altro talento fortissimamente voluto a Roma (assieme a Bet), dallex tecnico nerazzurro.
Dalla nostra ideale formazione di ex, restano esclusi dai nostri commenti ancora molti nomi: detto che per Fulvio Bernardini il ritorno a Roma fu un evento inevitabile, scritto nel DNA, non si può evitare di spendere alcune parole per Marco Delvecchio e per David Pizarro. Il primo arrivò a Roma travolto dalla malinconia.
Persino il classico servizio fotografico di benvenuto apparve grottesco. Delvecchio, a bordo di una botticella, era triste, persino a disagio. Nel giro di pochi mesi, nacque invece Supermarco, il milanese nato a Roma, capace di regalare un contributo enorme allo scudetto del 2001. Per David Pizarro facciamo nostra una recente sentenza incisa da Tonino Cagnucci nella pietra (e sulle pagine del Romanista): Come al solito gioca a pallone meglio di tutti e a Milano, ci consentano, un poco gli rode, per rendere omaggio al divino Paolo Conte e farli incazzare, Burdisso deve continuare a darci dentro.