Riise l'ultimo gladiatore

02/02/2010 09:52



Non sappiamo se avete presente dove è nato. La cittadina si chiama Alesund, nel nord della Norvegia che è già tanto a nord, il circolo polare artico è da quelle parti, il freddo una costante anche quando il calendario dice giugno. Le temperature delle nostre parti per lui sono un paradiso, ma quale maniche lunghe, dategli un pallone e il roscio non vi tradirà. Per la gioia della dalla qua­le, pure se il vichingo ha il pallone tra i piedi a cin­quanta metri dalla porta avversaria, si sente quel mormorio, tira, tira che è la firma su un feeling sempre più forte e saldo tra giocatore e tifosi.



Lui sarà pure vichingo, ma questo feeling lo sente sulla pelle, anche se a Trigoria è arrivato da un altro tempio del calcio come Anfield Road, la casa del Liverpool, dove il roscio era un beniami­no della Kop, la Sud che ora acclama Alberto Aquilani. Lo sente al punto che non ci pensa mi­nimamente ad andare da qualche altra parte, an­che se il suo contratto andrà in sca­denza il trenta giugno 2011, «perché a Roma sto benissimo e voglio rima­nere qui almeno altre tre-quattro an­ni con l’obiettivo di vincere qualche cosa con questa maglia» .

Del resto a Roma ci sta alla grande. All’inizio ha faticato un po’ con la lin­gua, ma poi è stata una discesa. Aiu­tato in questo anche dal team mana­ger della Roma, Salvatore Scaglia, nato a Oslo, papà diplomatico italiano, mamma norvegese, che soprattutto nei primi tempi gli ha fatto da Ci­cerone in campo e fuori. Ha scelto di vivere vici­no a Trigoria, zona Torrino, dove peraltro vivono moltissimi dei suoi compagni di squadra. Ha pre­so in affitto la casa lasciata da Alessandro Manci­ni quando partì per Appiano Gentile anche se ie­ri si è trasferito a Milanello. Con lui vivono la compagna Maria e la figlia di pochi mesi, Emma che ovviamente è l’amore di papà.



Il vichingo, soprattutto da quando gli è nata la figlia, fa una vita piuttosto riservata. Si concede qualche cena al ristorante, qualche puntata con la compagna in discoteca, l’Art Cafè e il Babel le preferite, poi molta vita famigliare anche per un gladiatore come lui. E’ un appassionato di cinema, a casa spesso parte il dvd. La visione di film la alterna navigando su Inter­net, attraverso il quale si tiene ag­giornato sul suo paese dove ormai è una celebrità, come ovviamente lo è della comunità norvegese a Roma, circa trecento connazionali, che ogni volta che organizzano incontri, a par­tire dall’ambasciatore, vogliono Riise come ospite speciale.

Non è calcio­centrico, anzi. In casa ha messo un tavolo di ping pong dove pare sia imbattibile, ama moltissimo il basket, a Trigoria spesso, in palestra, organizza partitelle tre contro tre e tutti vorrebbero gioca­re con lui, da a Vucinic, da Pizarro (Pi­zarro che va a canestro deve essere un’immagine straordinaria) a Mexes, da a Cassetti.



E’ questo il mondo dell’ultimo gladiatore giallo­rosso, di un giocatore che ha sempre preferito far parlare i fatti piuttosto che le chiacchiere. E for­se è stata questa la chiave per entrare subito nel cuore della tifoseria giallorossa. Che non potrà mai dimenticare quella capocciata vincente a To­rino, vittoria sulla , grazie al vichingo­gladiatore.

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  Nela: Sì, Roma ama i giocatori generosi

Terzino. Piede sini­stro naturale. Tiro da “ Thun­derbolt”. Un carattere graniti­co. E’ l’identikit di John Arne Riise, ma potrebbe tranquilla­mente essere anche quello di Sebino Nela, un pezzo di storia della Roma, un altro giocatore che con la sua corsa, i suoi cross, i suoi tiri potentissimi ha incantato la Sud e tutto l’Olim­pico.

Sebino Nela, John Arne Riise continua una tradizione di gio­catori di grande carattere che hanno fatto innamorare di sé i tifosi della Roma.

«Sì, Roma è così. Roma si in­namora. Oggi ancora di più, perché nel calcio dei milionari vedere un giocatore come Riise che non molla mai, che gioca con generosità, che dimostra attaccamento alla maglia che indossa, esalta ancora di più i tifosi».

Eppure all’inizio ha incontra­to non poche difficoltà.

« Credo gli abbia giovato il fatto che, con l’infortunio di To­netto, è diventato un titolare inamovibile. Il suo rendimento è cresciuto aiutato anche da quello di tutta la squadra. Io ri­cordo sempre il caso di Colom­bo nel Milan di Sacchi. Quando un singolo si trova in un ­sto di una squadra che gira al massimo anche lui rende al massimo».

Quali sono le qualità più im­portanti che riconosce a Riise?

«Caratterialmente è un uomo del Nord, ha molta testa e mi sembra un grande professioni­sta. Poi in campo ha le qualità del combattente. Non per nien­te ha fatto così bene in Inghil­terra. Credo abbia assorbito molto la cultura sportiva del calcio inglese e ora la sta met­tendo a disposizione della Ro­ma ».

Terzino, piede sinistro natu­rale, tiro potente. Le viene in mente nessuno?

«Il paragone non si può fare e tanto meno posso essere io a farlo. Di sicuro a volte vorrei vedere Riise più cattivo dal punto di vista agonistico. Sulla palla entra sempre con molta decisione, ma non ricordo di averlo mai visto arrabbiarsi con un avversario. Ha una cal­ma in campo che gli invidio, ma deve essere proprio il suo ca­rattere ».



Come si diventa giocatori co­sì amati dal pubblico e così te­muti dagli avversari?

« Sono doti naturali. Io ad esempio sono arrivato a Roma che avevo già quelle caratteri­stiche: grandi doti di corsa, fi­sicità, agonismo. Quando sono arrivato a Roma avevo sempre giocato da stopper e non sape­vo neanche che Liedholm mi volesse impiegare da terzino. Quello in cui sono migliorato è la tecnica e sono migliorato grazie al “Barone”, che mi ha perfezionato sul sinistro e mi ha insegnato a giocare anche con il ».

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GRAZIANI & C., IL CUORE IN CAMPO

ROMA – Nella storia della Roma sono tanti i giocatori che si sono fatti stimare per le loro caratteristiche di combattenti. A partire da Giacomo Losi, lombardo di Soncino, divenuto, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Ses­santa, “Core de Roma” e vera bandiera per tutti gli ap­passionati giallorossi. Bastarono due stagioni invece a Romeo Benetti per farsi apprezzare nonostante un’eta non giovanissima. Francesco Graziani fu protagonista nella Roma di Liedholm e la sua generosità in campo, ol­tre ai suoi gol, fu un elemento importante per i successi della squadra del tecnico svedese. Negli anni Novanta fu poi il momento di Enrico Annoni, difensore dai piedi non eccelsi, ma sempre in prima linea quando c’era da lotta­re. Il suo soprannome “Tarzan” esprime in pieno lo spi­rito con il quale entrava in campo. Infine Damiano Tom­masi, giocatore amatissimo per la sua serietà, per il suo non risparmiarsi mai e per la sua correttezza.

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E’ tra i migliori con Evra e Cole (A. Maglie)

Merce rara, il terzino sinistro, specie protetta al pari del castoro o del topo­ragno nano. Si cercano sul mercato e spesso non si trovano. La Roma ha fatto tredici al totocalcio, con John Arne Riise. Alla è andato, invece, male il nostalgico tentativo di riprodurre in chia­ve torinese la magìa della notte mondia­le berlinese con l’ingaggio di Grosso. L’Inter si arrangia anche perché ha gio­catori di qualità anche se non interpreti specifici del ruolo come Chivu e giovani promesse come Santon.

Il ha fatto rien­trare dall’Inghilterra l’ex udinese Andrea
Dossena. Il Palermo ha rivitalizzato Balzaretti.

Il Milan può sempre contare su Zambrotta o sul giovane e arremban­te Antonini. La realtà è che all’orizzonte non si riesce a intrave­dere il nuovo Paolo Maldini. Certo, il mi­lanista è stato del ruolo un interprete fuo­ri dall’ordinario e, pertanto, pensare a un clone è impossibile. Ciò non toglie che le società cerchino. E sperino perché nes­suno può fare a meno della profondità sulle corsie esterne.



Congiuntura nazionale e internaziona­le piuttosto bassa. Fatta eccezione per i Soliti Noti. Tre in particolare, due france­si (nel ruolo, Raymond Domenech, ct del- la Francia, è forse l’unico che non ha pro­blemi). Eric Abidal è uno dei punti di for­za del (che in più come carta di riserva ha l’ex interista Maxwell). Af­fidabile, continuo nel rendimento. Uni­sce qualità tecniche e grande forza fisica e una straordinaria fluidità di corsa. Al non ha concorrenza. Al con­trario, ce l’ha in nazionale dove è obbli­gato a fare i conti con Patrick Evra, ester­no del Manchester United. Uno che solo a evocarlo fa nascere rimpianti tra i diri­genti del calcio italiano. Perché, come è noto, lui è passato dalle nostre parti ma nessuno lo ha con­siderato adeguato per il nostro cam­pionato. Nessuno, insomma, si è ac­corto di lui. Per la felicità di Fergu­son che gli ha con­segnato una ma­glia da titolare, e che maglia. Rispetto ad Abidal, forse è meno bello e completo ciò non toglie che farebbe la felicità di qualsiasi squadra con il problema della fascia sinistra.



Sempre in Premier gioca un altro splendido interprete del ruolo: Ashley Cole. Lo volle al Chelsea l’attuale allena­tore dell’Inter, Josè Mourinho. Un cor­teggiamento così serrato e pubblico da attirare le ire di Arsene Wenger, tecnico dell’, società all’epoca titolare del cartellino. Alla fine, con un anno di ritar­do, Cole è arrivato al Chelsea e nessuno dei tecnici che sono venuti dopo Mourin­ho lo ha messo in discussione, compreso. Né lo mette in discussione Fa­bio Capello che gli ha consegnato le chia­vi della fascia sinistra della nazionale in­glese. Al contrario di Philip Lahm che con il suo ct, il tedesco Loew, non sempre intrattiene rapporti serenissimi. Lahm è stato spesso al centro delle attenzioni dei club italiani. Nato a destra (non è manci­no), è passato a sinistra integrandosi per­fettamente.



Dietro di loro alcuni giovani che pro­mettono di conquistare prossimamente il centro del palcoscenico. Nel gruppo c’è, ad esempio, il laziale Kolarov ( Bal­lardini permettendo), non a caso al centro del­le attenzioni dell’Inter. Marcelo del Real Ma­drid non ha ancora espresso tutto quel che prometteva. So­stanzialmente scomparso Juri Zhirkov, poco utilizzato dal Chelsea. Ex ala, il rus­so è stato trasformato in terzino: andava bene nel campionato del suo paese, non altrettanto nella Premier. In molti scom­mettono sul gallese del Tottenham, Ga­reth Bale. Andrè Santos, brasiliano del Fenerbahce, avrebbe l’età giusta ( poco meno di ventisette anni) per essere «ve­rificato » in uno dei quattro grandi cam­pionati.