Se questo non è amore

12/04/2010 10:27

un po’ le idee, ti chiedi come farai a sopravvivere alle altre cinque partite che ci aspettano. A cominciare dal derby di domenica prossima. Ma intanto abbiamo vinto. Abbiamo sorpassato l’Inter, e nella nostra storia di sorpassi così non c’è traccia, almeno recente. Siamo primi. Non so se avete capito bene: p-r-i-m-i . Certo Ranieri avrà il suo da fare, perché una cosa è rincorrere, un’altra essere rincorsi. Certo i lupacchiotti nostri dovranno imparare in fretta a dominare i nervi, perché nel secondo tempo con l’Atalanta a lunghi tratti è parso che fossero i nervi a dominare. Certo avremo bisogno di un po’ di quella fortuna (il gol di Vucinic, per spiegarci) senza la quale neanche i migliori possono riuscire a dare l’assalto al cielo. Certo serviranno non un banalissimo tifo, ma una passione e un amore infiniti, come quelli che la nostra gente ha dimostrato ieri. E tutto questo, intendiamoci, potrebbe anche non bastare, perché continuare senza perdere un colpo nella striscia da favola iniziata in ottobre sarebbe, consentitemelo, roba da giganti veri. Già. Di tutto questo, però, cominceremo a occuparci domani. Adesso c’è solo da mettere a fuoco le cose più belle di un pomeriggio che non dimenticheremo mai. Le mie le dico subito. Sono due.

La prima è successa in , e riguarda la memoria, senza la quale non c’è futuro. La seconda in campo, quando mancavano solo i tre minuti di recupero, e i più grandicelli cominciavano a temere che dall’Olimpico non sarebbero usciti sulle proprie gambe. La curva, una grandissima curva, ha ricordato il Coca Cola e Fabio il Roscio, di cui ha scritto ieri magistralmente sul Romanista Tonino Cagnucci. Ma dire: "ha ricordato" è una banalità, perché la curva li ha pianti, li ha abbracciati e ce li ha restituiti come protagonisti di una storia che continua. Per me, e per la gente di stadio non di primissimo pelo, il Coca Cola è il Commando, un pezzo di vita, un modo di essere romani e romanisti, una cultura, e tante altre cose ancora, non solo calcistiche: roba difficile da spiegare a chi quel tempo non lo ha vissuto, ma non per questo meno profondamente vera. Forse, anzi, sicuramente, tutto questo non c’è più. Però un segno indelebile lo ha lasciato, basta pensare a come ieri un po’ tutti i gruppi della curva hanno voluto esprimere la loro commozione. Non ci avrei giurato. Ne sono felice. In campo, ha ribadito anche all’ultimo degli stolti di che pasta è fatto un grande capitano. Lungo tutta la partita, naturalmente. Ma per me soprattutto quando ha motivato con successo a Ranieri perché era il caso di fare uscire Menez. E forse persino di più nel faticosissimo finale. Quando si è piazzato vicino alla bandierina del calcio d’angolo e sino al termine ha inchiodato lì la partita. Rimediando, in tre minuti, tre punizioni e un fallo laterale. Io non so se conquisteremo quella cosa che non va nominata. So che senza un capitano così non avrebbe senso nemmeno pensarci.