Da Ferraris a Bruno Conti se il cartellino è rosso-giallo

07/05/2010 13:01

inizieremo la nostra carrellata dal principe degli imperturbabili, il maestro insuperabile del fair play, vale a dire Nils Liedholm. Il Barone era solito dire ai suoi giocatori che non dovevano mai reagire in quanto chi li avesse colpiti o insultati sul campo di gioco avrebbe “ammesso la sua inferiorità davanti a tutto uno stadio”. Lo stesso Liedholm, raccontò però che una volta un marinaio lo aveva talmente esasperato che con il solito tono pacato gli aveva detto: «Ti do un pugno di vantaggio, poi inizio a picchiare io».

Sciolto il ghiaccio con questa piccola reminescenza entriamo nel rettangolo verde per trovare il 1 gennaio del 1944, in un incontro del Campionato Romano di guerra fra Elettronica e Avia, i dieci secondi di furore di Attilio

Ferraris IV
. Attilio, primo capitano della storia della Roma, nonché campione del mondo se la prese con l’arbitro Pasinetti sbattendolo contro uno dei pali della porta per la mancata concessione di un netto fuorigioco. Altro campione del mondo, dopo Ferraris ad aver avuto giornate difficili nel gestire le proprie reazioni emotive, è Bruno Conti, il fenomeno di Nettuno, da tutti indicato come un esempio di correttezza e di grande sportività. Ebbene, anche Bruno, l’uomo del sorriso, colui che Maradona e Platinì sognavano come compagno di squadra, ha avuto un paio di eclissi dell’abituale comportamento impeccabile.

Ad esempio il 3 Marzo 1985, quando Carlo , dopo il secondo grave infortunio della carriera, era appena tornato in campo, subendo un fallaccio da un giocatore del Verona, squadra caricata a mille e in lotta per la conquista dello scudetto. Bruno che ha passato gli ultimi mesi a sentire le urla di dolore del compagno

impegnato nella fisioterapia perde letteralmente il lume della ragione e appena ripreso il gioco “vendica” il Bimbo. Sarà portato fuori a braccia e subirà quattro giornate di . Medesimo protagonista per un Roma – Ascoli disputato all’Olimpico il 7 maggio 1989. Dopo il pareggio di
Bruno Giordano (in questa storia mancava solamente lui per vedere definitivamente the dark side of the moon) all’ennesima ingiustizia, Conti, espulso, diventa una belva scatenata. Renato, Policano e persino il bianconero Giovannelli, suo ex compagno di squadra, cercheranno di scortarlo fuori dal campo, mentre il numero sette scalciava in ogni direzione.

Persino allenatori e presidenti non sono stati immuni da queste reazioni. Senza riprendere la corsa di Mazzone sotto la Curva dei tifosi dell’Atalanta nella famosa gara con il Brescia, non possiamo non ricordare quanto accaduto dopo il match tra e Roma del 29 novembre 1970. Sino a 10’ dalla fine della gara il risultato era sullo 0-0. A quel punto, però, il direttore di gara espelle dal campo Cappellini e Amarildo e

la approda all’agognata vittoria per 2-0. Il presidente Marchini, come un vulcano in piena eruzione disse che l’arbitro era arrivato in treno e se ne tornava a casa a bordo di una FIAT. Tra tante ammissioni di colpa lasciateci dire che i giocatori della
Roma hanno spesso dimostrato di “saperle dare e prendere” con una signorilità che non ha eguali.

Il 26 febbraio del 1950, ad esempio, il rosanero Gimona mette KO il Petisso Pesaola con un intervento degno del miglior karateca. Risultato, gli vengono inflitti due anni di , che equivalgono ad una sorta di sipario di ferro che cade sulla sua carriera. Gimona è, come del resto più che comprensibile, amaramente

pentito. Chiede ed ottiene d’incontrare Pesaola in ospedale (addirittura con la mediazione di Alcide De Gasperi) e qui, guadagnato il perdono del romanista si avvierà il meccanismo che porterà la federazione a ridurre a sei mesi la . Un episodio da Libro Cuore? Può anche darsi, il fatto è che se Pesaola (45 giorni d’ospedale per lui in seguito a quell’infortunio) è un personaggio da libro cuore, quantomeno è

Edmondo De Amicis.

In troppi sembrano aver dimenticato il 19 febbraio 2006, i tre interventi di Vanigli sulle caviglie di . L’ultimo causa un piegamento innaturale della caviglia. Francesco urla: «Mi sono rotto, mi sono rotto!». Poi è la corsa

verso Villa Stuart, l’operazione, il Mondiale che appare irrimediabilmente bruciato. E’ in queste condizioni che Francesco  ha assolto Vanigli, intuendo le condizioni psicologiche del suo “carnefice”, mettendosi nei suoi panni e assolvendolo per evitargli un linciaggio mediatico: «Mi ha chiesto scusa. Non ce l’ho con lui». è stato capace di farlo, assumendo sulle sue spalle l’ intero peso di una carriera che da quel momento è stata comunque condizionata da quell’infortunio.