07/05/2010 11:58
Ogni storia ha un inizio e pure ieri non erano pochi coloro che ricordavano il pomeriggio di quel 10 maggio del 1981: a Torino si giocava Juventus-Roma, partita decisiva per le sorti del campionato, e a Maurizio Turone detto con affetto «Ramon» fu annullato un gol (il romanista medio può non ricordare dove fosse il pomeriggio dell11 settembre 2001, ma certo ricorda perfettamente dove ascoltò quella radiocronaca di «Tutto il calcio minuto per minuto»). Il presidente Dino Viola ironizzò parlando duna «questione di centimetri». Ma se nessuna moviola, in effetti, è poi mai riuscita a spiegare se il gol fosse davvero valido, i tifosi romanisti stabilirono che invece era buono, buonissimo. Così da divenire, per tutti, il primo dei grandi torti subiti.
Sono stati trentanni faticosi. Tra torti presunti e alcuni veri (il fallo di Deschamps su Gautieri viene descritto dai papà appena il bambino romanista è in grado di intendere e di volere). Molti nemici segnalati al nord (Moggi, su tutti: accusato, tra le altre cose, di aver portato Paulo Sosa e Ferrara alla Juve dopo averli trattati per conto della Roma).
Un grande avversario per ogni decennio: la Juve negli anni 80, il Milan negli anni 90, adesso lInter. Conseguente lento e progressivo e inesorabile sentirsi soli contro il mondo. E contro la sfortuna. Come per Roma-Lecce e, prima ancora, per la finale di Coppa dei Campioni persa in casa, allOlimpico, contro il Liverpool, ai rigori. Una tragedia collettiva subito rielaborata in tono epico. Scritte sui muri: «Grazie lo stesso». E Antonello Venditti che, al Circo Massimo, sul palco, dice alla folla: «Stasera me sè pure rotto il pianoforte... però cè un collegamento con la Rai, mica gli faremo vedere che semo tristi?». Boato folle. Bandiere giallorosse nella notte. Cori. Gente che cantava, piangendo, linno. Ecco: poi linno, «Roma Roma Roma», prima di ogni partita, e alla fine, se si vince, «Grazie Roma». La sciarpa che diventa struggente simbolo dappartenenza (sfoggiata, nelle scuole romane, al lunedì, da migliaia di stu denti). Il gusto di essere sfacciatamente tifosi (cè gente che ancora racconta soddisfatta: «Io, ai Mondiali di Spagna dell82, tifavo per il Brasile di Falcao»)
Però due soli scudetti (a parte quelli sfiorati o, diciamo così, negati). Seguiti da festeggiamenti strepitosi interrotti solo dalle prime piogge dautunno. Dopo la conquista dellultimo titolo (2001), un genio sinventò una filastrocca (titolo: «Er cuppolone»), con dentro tutti i magnifici luoghi comuni che unintera tifoseria si ripete con soddisfazione: al bar, in ufficio, a cena; ad ascoltarla su YouTube è ancora attualissima: «A Ferilli è della Roma/ DAlema è della Roma/ Andreotti è della Roma/ Verdone è della Roma/ er cuppolone/ a Maggica/ er core de Roma/ al Circo Massimo eravamo 500 mila/ al Circo Massimo eravamo un milione/ macché al Circo Massimo eravamo 2 milioni e mezzo/ Cerqueti dice che è della Juve, però è come Veltroni e tifa per la Roma/ Testaccio è uno spettacolo/ a mio figlio per il compleanno gli ho regalato la medaglietta con il lupetto della Roma/ me so fatto il tatuaggio con la lupa/ Alberto Sordi era della Roma/ Giulio Cesare era della Roma/ Renato Zero è della Roma...».
È così che poi si resta soli. Accerchiati. Ogni partita è lultima, e non è più solo una partita. È sempre una roba da Colosseo, da gladiatori. Da arbitri che non ci danno mai un rigore e da Totti che, allora, sente di dover prendere la rincorsa per vendicare «una città e un popolo intero». Romanisti. Ma va bene così. Perché poi mancano ancora due giornate alla fine del campionato. E non succede, ma se succede...