I nuovi stadi non sono la "panacea" per tutti i mali del calcio...

11/05/2010 11:37

Un primo aspetto da discutere è se questa legge dello Stato serva realmente a soddisfare un'esigenza nazionale o solo di alcuni ristretti territori, ma soprattutto ci chiediamo: Tutti i territori hanno bisogno di nuovi e grandi impianti? La risposta è no, perchè l'unica cosa di cui non ha bisogno questo Paese è di nuove "cattedrali nel deserto", con effetti boomerang soprattutto sulle collettività locali.

Si parla spesso, senza cognizione di causa, di stadi privati, polifunzionali, attivi 24 ore su 24, per l'intero anno. Parole enunciate senza capire realmente quelle che possono essere le necessità reali delle squadre di serie A e B. Pochi sanno, ad esempio, che l'unico esempio di stadio privato in Italia (tanto osannato dai più) il noto "Giglio" di Reggio Emilia (http://gazzettadireggio.gelocal.it/dettaglio/dalla-prima-pietra-al-fallimento/1414647) è finito nell'ultimo mese all'asta fallimentare, andata tra l'altro deserta. Un impianto sovradimensionato rispetto al territorio e pur in presenza di un centro commerciale, lo stesso è stato spesso disertato dalle stesse famiglie residenti nella zona.

Qui non si tratta solo di edificare, esercizio che crediamo sappiano fare bene i principali gruppi edili tricolori, ma di capire prima se un territorio è in grado di assorbire economicamente le attività commerciali/sportive presenti all'interno degli impianti di cosiddetta "ultima generazione".

La prima domanda che facciamo è: Ma ci sono poi degli stadia manager in Italia di provata esperienza per valorizzare queste nuove strutture? La risposta è semplice: no, assolutamente (o almeno non per coprire tutte le future esigenze). Su quali impianti hanno maturato questa esperienza? Su quelli attuali (obsoleti e privi di ogni comfort)? Allora è meglio formarne di nuovi, ma soprattutto importarne dall'estero.

I presidenti di calcio parlano con troppa facilità di opportunità legate agli impianti, ma si rendono conto, che, soprattutto nei primi anni, queste nuove strutture indebiteranno società già in difficoltà con gli impianti esistenti? E hanno poi calcolato che per gestire questi stadi a cinque stelle serviranno nuove risorse, con l'inevitabile incremento dei costi del lavoro. Per non parlare degli interessi dei mutui spalmati su più anni, ma pur sempre un costo e non una entrata (consideriamo che non siamo la Francia o l'Ucraina e difficilmente verranno costruiti stadi in appena 3 anni di lavori)

La politica dell' "intanto partiamo, poi si vedrà" non ha mai generato grandi successi in questo Paese, anzi quasi sempre questa politica è stata pagata in modo salato dalle generazioni che si sono avvicendate nel tempo (pagando di fatto per le colpe dei loro padri). Si tratta di partire da un nuovo modo di intendere e vivere il calcio, che passa inevitabilmente per un cambio "culturale", che si impone inevitabilmente prima ancora di costruire qualsiasi stadio.

La F.c., per esempio, inaugurerà il primo impianto moderno di nuova generazione nel luglio 2011, ma per quella data avrà risolto le problematiche attuali che ha con la tifoseria? Per non parlare poi di -Milan giocata domenica a porte chiuse. Che senso ha costruire dei nuovi stadi se al loro interno vi "albergano" personaggi capaci di creare, in ogni momento, problemi di ordine pubblico? Perchè la "famiglia" non è al centro delle politiche dei principali club, al di là di timidi tentativi commerciali sul fronte degli abbonamenti?

All'estero, invece, è l'esatto contrario. La famiglia è il nucleo attorno al quale si muove l'intero business delle squadre. Un aspetto, quest'ultimo, che il presidente della Lega Calcio, Maurizio Beretta, ha sottolineato di recente, ma il suo invito è caduto nel vuoto, perchè nessun club l'ha raccolto in modo organico, aprendo un dibattito costruttivo sul tema.

Un ulteriore aspetto negativo di sistema è la totale assenza di gruppi imprenditoriali stranieri su progetti legati all'impiantistica sportiva. Anche questo tema dovrebbe allertare non solo la classe politica, che sta discutendo il ddl Lolli-Butti, ma gli stessi presidenti di calcio. Si dirà: "...ma proprio grazie a questa legge, se approvata, si riuscirà a ridurre il gap con quanto avviene all'estero". Anche in questo caso si tratta di semplici slogan, desideri a occhi chiusi, di sogni auspicabili, perchè trovo molto difficile che i comuni, oggi proprietari del 99% degli stadi di calcio di A, B e Lega Pro, decideranno di agevolare questo cambiamento radicale (tanto atteso dalla maggioranza degli addetti ai lavori).

Non ci sarà un sindaco in Italia, che, anche approvata la legge, aiuterà imprenditori italiani e stranieri a realizzare nuovi stadi. Perchè oggi un comune dovrebbe privarsi dell'unica e principale entrata: ovvero il canone di gestione annua pagata dal club?

Non lo farà nessuno e anche se ciò dovesse avvenire il costo di gestione del vecchio impianto comunale come verrà ammortizzato nel tempo? I comuni italiani non sono strutturati (a livello marketing e commerciale) per far vivere queste strutture 365 giorni su 365, al di là del calcio. Gli impianti in esame cadrebbero in uno stato di graduale rovina, oltre a diventare un costo per la collettività, perchè per ripianare questa spesa, chiaramente verrebbero aumentate altre tasse locali. A danno chiaramente dei cittadini. I nuovi stadi, quindi, rischiano, per certi versi, di diventare persino un "problema sociale" pagato dai più per il piacere di pochi (i tifosi/ultras delle squadre interessate).

Un'ultima riflessione la merita anche la tempistica di questa legge (in discussione alla Commissione VII della Camera). L'evento EURO2016 (il nome dell'host-country verrà ufficializzato il prossimo 28 maggio) è sicuramente collegato alla necessità (in caso di vittoria dell'Italia sulla Francia e Turchia) di costruire nuovi stadi, ma anche in questo caso dobbiamo partire da una semplice riflessione: l'Italia non può e non deve costruire nuovi stadi aspettando il grande evento di turno, ma solo se realmente c'è la necessità di operare questa strategia. Se quindi il sistema politico-imprenditoriale sente forte questa necessità è giusto che si proceda in tal senso, ma se ciò non fosse così è bene non ripetere gli sbagli del passato, come nel '90 (in occasione del Mondiale giocato nel nostro Paese), quando furono costruiti impianti di calcio già obsoleti (e quindi inutili) per quel periodo storico. L'Italia ha bisogno di strutture moderne, perfettamente integrate sul territorio ed autonome sotto il profilo economico-finanziario (sfruttando al massimo tutte le leve del marketing), mentre non ha assolutamente bisogno di nuove "cattedrali del deserto", per far arricchire "i soliti noti".

E su questo tema Sporteconomy vigilerà oggi come domani, attraverso il suo Osservatorio Politico (OP), portando all'attenzione dei media gli abusi e gli sprechi di turno.