Quando Di Stefano si offrì alla Roma

29/05/2010 12:56

cui la Lupa non ebbe il coraggio di puntare qualche anno fa, un certo Alfredo Di Stefano. Le analogie con l’affare Adriano sono interessanti. Correva l’anno 1953. Di Stefano da 4 lunghissimi anni si è volontariamente esiliato in Colombia, dove gioca in un campionato clandestino non riconosciuto dalla FIFA.
 
Su El Alemano (un soprannome meno poetico del leggendario Saeta Rubia, ma che rende bene la caratteristica di potenza fisica di questo fantastico atleta), che vivacchiava nella squadra circense dei Milionares di Bogotà circolavano diverse voci. Erano in molti a sostenere che fosse ormai un giocatore finito, una sorta di Buffalo Bill che vagava per il continente americano offrendo pantomime che potessero ricordare l’antica gloria. Del resto come poteva continuare a rimanere a Bogotà? Bogotà è una à meravigliosa, fantastica per viverci, ambientare un libro di Gabriel Marquez o un concerto della divina Shakira, ma non era certamente uno dei templi del football mondiale. Comunque sia, Alfredo Di Stefano è stanco del suo esilio dorato, con i Milionares ha segnato 267 gol in 292 partite. Ma questo non gli basta. In un viaggio di piacere ha fatto scalo a Roma, alla Fontana di Trevi ha tirato la classica monetina, ma spera di restare e di riprendere quella monetina con gli interessi.
 
Eh si, perché la Saeta Rubia ha deciso che intende rimanere in quella à, dove ha capito, esiste un solo club, la Roma. In men che non si dica viene organizzato un incontro. Ai vertici della società c’è Renato Sacerdoti, con Baldassarre vice presidente. Il club è alla ricerca di un grande crack per rinfocolare la passione di un pubblico che dopo la resurrezione dalla serie B vuole tornare a vincere. Per prendere Di Stefano servono più o meno 70.000 dollari, e la Roma, diversamente da molti frangenti della sua storia, quei soldi li ha. Sacerdoti prende tempo e inizia a mettere in fila i tasselli della faccenda. Può chiudere la trattativa con Di Stefano senza paure di rilanci, visto che è stato proprio il giocatore a proporsi. Inoltre quando Alfredo giocava all’Huracan, qualche stagione prima, era considerato una delle stelle emergenti del calcio mondiale. D’altra parte da quattro anni non si sa più nulla di lui e 70.000 dollari non sono certo pochi. La bilancia è in equilibrio, ma Sacerdoti non ha e non può avere un quadro completo. Non ha a disposizione filmati, né sulla sua scrivania ci sono relazioni di prima mano. Deve muoversi al buio, e in quella situazione, sfortunatamente, sono i dettagli a fare la differenza. Di Stefano, come da consolidata abitudine, fa delle richieste molto particolareggiate che a quanto sembra comprendono anche lo stipendio per un autista personale. Sacerdoti che non ha realmente capito chi avesse bussato alla sua porta, quando si soffermò su questo punto trasecolò: «Un autista? Ma questo chi crede di essere?»
 
È così che l’offerta, di un giocatore considerato peraltro ormai anziano, viene fatta cadere. Di Stefano proseguì allora una tournee europea con i Milionares e affrontò il Real Madrid. Santiago Bernabeu s’innamorò di questo fenomeno che tiranneggiava i compagni per avere continuamente la palla: «Dalla a papà, dalla a papà», urlava in mezzo al campo. Fu così che la “Saeta Rubia” finì al Madrid, e fu così che Di Stefano inventò il Real Madrid che prima di lui semplicemente non esisteva. Ancora pochi giorni fa, vedendo Di Stefano seduto vicino a Platino nella tribuna d’onore del Santiago Bernabeu durante la finale di mi è tornata in mente quella scommessa non fatta dalla Roma. A distanza di 57 anni la vicenda si ripropone… Rien ne va plus, les jeux sont faits … e forza Adriano.